C'è Musica e … Musica 2. Piedigrotta e la grande Canzone Napoletana I |
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Musica e Teatro | ||||||||||||||||||||
Lunedì 06 Aprile 2015 06:53 | ||||||||||||||||||||
In questa storia la Festa di Piedigrotta e la sua tradizione canora hanno un posto rilevante. La festa già anticamente si svolgeva ai piedi di una grotta, la Crypta Neapolitana detta di Pozzuoli o di Posillipo, una galleria artificiale (alta 10 mt. e lunga ca. 700) scavata nel tufo della colli-na di Posillipo tra Mergellina e Fuorigrotta in epoca romana, probabilmente nel I secolo a.C., forse per agevolare le comunicazioni tra Napoli e Pozzuoli. L'ingresso principale si trova nel parco della tomba di Virgilio, sede anche della tomba di Leopardi. Assunse da subito valore di simbolo materno e uterino, ma anche di passaggio tra la morte e la vita, tra la luce e il buio. Fu costruito anche un tempio a Priapo, dio della fertilità dall'esagerato organo virile, e nelle notti di settembre si celebravano i Baccanali, festività religiose pagane a sfondo propiziatorio con riti orgiastici. Il luogo era allora lontano dal centro cittadino e la festa era l'occasione per una bella scampagnata allietata da canti e danze. Anche Petronio Arbitro nel Satyricon fa menzione dei baccanali che vi si svolgevano e Svetonio nella Vita dei Cesari ricorda che anche Nerone, che si riteneva grande cantante e musicista, volle venire a Napoli per esibirsi al cospetto della cittadinanza partenopea, considerata musicalmente più competente dei Romani ad apprezzare la sua arte. Col passare del tempo le pratiche pagane furono affiancate e poi, dopo il III secolo, sostituite da quelle cristiane con il culto di Maria Vergine, alla quale fu dedicata la chiesa costruita proprio sulle rovine dell'antico tempio di Priapo. La chiesa divenne centro della devozione del borgo marinaro nonché meta di pellegrinaggio. Si andava, infatti, a rendere omaggio alla Madonna di Piedigrotta la notte tra il 7 e l'8 settembre (natività di Maria) e progressivamente la festa fu arricchita con carri allegorici e parate militari (nel 1744 con Carlo III), dopo che nel 1731 era nata la Confraternita dei pescatori di Chiaia che curava le processioni. In attesa di entrare in chiesa i Napoletani ballavano e cantavano davanti alla grotta illuminata con torce. Nacque così l'usanza di una sfida canora tra i vari gruppi di pellegrini. La svolta si ebbe nel 1835 col successo di I' te voglio bene assaje, attribuita a Donizetti, che vendette ben 180.000 copielle. Questo attirò anche l'interesse degli editori di musica classica e nacque così la Piedigrotta delle canzoni, che, a parte un'interruzione dal 1861 al 1876, si tenne ogni anno a settembre fino al 1952, quando fu associata al Festival di Napoli, e poi sospesa nel 1982.
Come per la canzone popolare si suole principiare da Jesce sole così per quella d'arte e d'autore il punto di partenza è costituito da I' te voglio bene assaje, che si vuol fare risalire al 1835 mentre sussistono valide ragioni per spostarla al 1839. In particolare quella legata a una testimonianza di Luigi Settembrini, il letterato e patriota napoletano arrestato per cospirazione tra il maggio 1839 e il gennaio 1841 e rinchiuso nel carcere di Santa Maria Apparente. Una mattina, come ebbe a scrive-re più di trent'anni dopo nelle sue Ricordanze, giunse da lontano a lenire le sue pene il dolce canto di una voce di donna. Al carceriere Settembrini chiese di chi fosse la voce e quale la canzone. “E' mia figlia” rispose costui, ed aggiunse che il motivo era quello di una canzone nuova Te voglio bene assaje, e tu non pienze a me. E alla sua “ricordanza” lo scrittore aggiunse: “Ogni anno a la festa di Piedigrotta, l'8 di settembre, il popolo napoletano va nella grotta di Pozzuoli, e lì l'uno sfida l'altro a cantare improvviso, e la canzone giudicata più bella si ripete da tutti: è la canzone dell'anno. Ce ne sono delle belle; questa fu tra le bellissime, ed io non posso dimenticarla. Tre cose belle furono in quell'anno: le ferrovie, l'illuminazione a gas e Te voglio bene assaje”. E' questa una, e forse la più convincente, delle testimonianze addotte da Ettore De Mura, autore di una dotta e ponderosa Enciclopedia della Canzone napoletana, per datare correttamente la celebre canzone e farla non antecedente (1835), come la vogliono alcuni, ma contemporanea della Napoli-Portici, la prima linea ferroviaria italiana (1839). Sembra invece che non vi siano dubbi sull'autore dei versi, Raffaele Sacco, verseggiatore straordinario, capace di improvvisare in versi su qualsiasi argomento, di mestiere “occhialaro”, che non vuol dire ottico, ma mercante di occhiali. Costui è espressione della nuova classe sociale, la borghesia, che come nel resto d'Europa anche nella città del golfo sta emergendo e che avrà, tra i suoi svaghi, un nuovo genere musicale, la canzone, con i suoi poeti e i suoi musicisti. Già, ma nel caso di Te voglio bene assaje chi è il musicista? La tradizione suole attribuirne la paternità a Gaetano Donizetti. Se fosse nata nel 1835, anno in cui Donizetti presentò al Teatro San Carlo il 26 settembre, poco dopo dunque la festa di Piedigrotta, la sua nuova opera (e il suo capolavoro) Lucia di Lammermoor, tale paternità sarebbe anche possibile (anche se il motivo somiglia più all'aria Vi ravviso o luoghi ameni della belliniana Sonnambula). Ma nel 1839 Donizetti era ben lontano e impegnato a Parigi. Scartata l'alternativa facile del solito anonimo si può ragionevolmente concordare col De Mura, che sulla scorta di documentate ricerche ne attribuisce la composizione al maestro Filippo Campanella, compagno indivisibile del Sacco. I' te voglio bene assaje segna il passaggio dalla musica popolare alla canzone d'autore e per mol-te edizioni di Piedigrotta fu quasi un inno ufficiale della musica napoletana. Il componimento scritto fu piuttosto lungo e la sua forza penetrativa nella massa di ascoltatori gli venne conferita dal ritornello accattivante e orecchiabile che concludeva ogni strofa (riporto qui la prima):
Notevole, tra le tante, l'interpretazione di Massimo Ranieri. Dieci anni dopo, nel 1849, è la volta di un'altra canzone di successo, Santa Lucia, questa sì accostabile a Donizetti, all'aria di Com'è bello, quale incanto dalla Lucrezia Borgia (1833). Donizetti era amico e collaboratore di Guglielmo Cottrau, grande cultore e raccoglitore di melodie popolari napoletane nonché valente compositore, il cui figlio, Teodoro, a soli ventuno anni compose Santa Lucia su un testo in dialetto del barone Michele Zezza (“Comme se fricceca/ la luna chiena/ lo mare ride,/ ll'aria è serena...). Poeta, letterato, giornalista e musicista, deve la sua fama soprattut-to a questa canzone che avrà un successo mondiale con un testo in lingua (“Sul mare luccica/ l'astro d'argento,/ placida è l'onda,/ prospero è il vento...), scritto da un colonnello del Commissariato Ma-rina, ma anche giornalista e poeta, Enrico Cossovich, e pubblicato come “barcarola”, propriamente “canto di barcaiuoli”, dal ritmo calmo e cullante ispirato al dondolio della barca e al cadenzare della voga. I versi celebrano il pittoresco aspetto del rione marinaro di Santa Lucia cantato da un barcaiolo che invita a fare un giro sulla barca per meglio godere il fresco della sera. Divenne un successo internazionale, interpretato dai più grandi tenori (Caruso, Di Stefano, Schipa e altri). Testo in lingua italiana Sul mare luccica (…)
Nel 1861 la tradizione festaiola e canora di Piedigrotta fu interrotta. Riprese nel 1876, ricomparvero i carri allegorici e si ricominciò a creare canzoni. Nel 1880 viene inaugurata la funicolare che da Pugliano s'inerpica sulle pendici del Vesuvio, tipica impresa tecnologica di un'epoca che vide il traforo del Sempione e l'ergersi della Torre Eiffel. Si avvicina Piedigrotta e Giuseppe Turco, fondatore di Capitan Fracassa, che era andato a fare la cura delle acque, come allora si diceva, cioè i bagni termali, a Castellammare di Stabia, vi incontra Luigi Denza, grande compositore di romanze, anche lui in vacanza nella villa paterna. I due amici decidono di divertirsi e di divertire gli altri villeggianti scrivendo una canzone che celebri l'avvenimento e che essi stessi eseguiranno in occasione della sagra: è Funiculì funiculà. Ha un successo travolgente, non solo a Napoli e in Italia, ma in tutto il mondo. L'editore Ricordi ne vende in un an-no un milione di copielle. Bisogna dire che gli autori della canzone avevano saputo cogliere nel motivo contingente un elemento universale. La funicolare che portava in alto, in cima a una montagna, era un simbolo evidente della gioia di vivere, dello slancio esuberante del popolo napoletano in un momento in cui ancora si sentiva erede di un grande passato.
Notevoli la rappresentazione di drammi realistici e patetici, come in Assunta Spina, e la composizione di poesie dialettali, in Ariette e Sunette,ricche di lirismo e musicalità. Certamente un autore da catalogare tra i grandi poeti, come ebbe a dire Benedetto Croce, senza riserve per la scelta dialettale, “poeta senz'altro”, in quanto la poesia come categoria estetica è espressione universale del sentimento a prescindere dalla lingua utilizzata. Ed è proprio con Nannì (la prima poesia di Di Giacomo, diventata poi Napulitanata) più che con Funiculì funiculà, definibile in fondo uno scherzo ben riuscito, che si apre l'era trionfale della “canzone d'arte”. E' l'amore-passione, di cavalcantiana memoria (Voi che per gli occhi mi passaste il core), che veicolato attraverso gli occhi giunge ad infiammare il cuore. Tra le interpretazioni, splendida per sentimento e per colore, quella del tenore leccese Tito Schipa del quale ricorre quest'anno il cinquantenario della morte.
NAPULITANATA
La collaborazione di Di Giacomo con Mario Costa proseguirà dando luogo ad altre canzoni di successo: Oilì oilà, Lariulà, Serenata napulitana, Era de maggio, Catarì. Oilì oilà è una spiritosa canzonetta del 1886. Eseguita contemporaneamente, fu fischiata in Piazza Plebiscito e applaudita alla Villa Comunale originando uno scontro in strada tra i cortei delle due fazioni, che se le diedero di santa ragione. Questo fatto provocò la virtuosa indignazione del Corriere della sera, che trovava scandaloso che i Napoletani si potessero scannare per una canzonetta a soli pochi mesi dalla terribile epidemia di colera dell'anno prima. Lariulà è un delizioso contributo alla Piedigrotta del 1888. Rappresenta un classico “ammore 'e vicolo” con litigio tra due innamorati per incomprensione o forse per qualche maldicenza e chiacchiera di vicolo. Serenata napulitana, del 1896, è invece la storia di un doppio tradimento. Un innamorato non si rassegna e invita la donna che ama, Catarì, a ripensarci, perché l'altro, per il quale l'ha lasciato, lo ha visto amoreggiare con un'altra (… core a core cu' n'ata/ e, rerenno (ridendo), parlavano 'e te ). Anche lei quindi è stata tradita. Considerata a ragione tra le più belle canzoni di sempre, meravigliosa per la grazia del testo e per l'ampio respiro musicale, Era de maggio, del 1885, canta l'amore profondo e tenace di due innamorati che, costretti a separarsi a maggio, si ripromettono di ritrovarsi negli stessi luoghi ancora a maggio per rinnovare il loro amore, che il tempo non potrà scalfire.
ERA DE MAGGIO (Di Giacomo-Costa, 1885)
Del 1892 è un'altra celebre canzone,Catarì, di una bellezza lancinante, costruita con magistrale delicatezza su una lirica intitolata Marzo.
CATARI' (MARZO)
Nel 1896 Di Giacomo firma con Tosti un'altra celebre canzone, A Marechiare. Francesco Paolo Tosti è già un affermato autore di romanze,composizioni di carattere lirico affini alle arie del Melodramma, e frequenta gli ambienti culturali napoletani. Amico di Matilde Serao e di Di Giacomo, con l'editore Bideri collabora alla Tavola rotonda e nel 1903 musicherà una poesia del suo conterraneo abruzzese Gabriele D'Annunzio, 'A vucchella, scritta dieci anni prima sui tavolini del caffè Gambrinus, abituale ritrovo di intellettuali, artisti, poeti e giornalisti, a seguito di una sfida col poeta e paroliere Ferdinando Russo, autore della bellissima Scetate. A Marechiaro Di Giacomo in verità non c'è mai stato, ma in questo piccolo villaggio di pescatori annidato tra le rocce del capo di Posillipo il poeta vi ha immaginato una finestrella adorna di una pianta di garofani dalla quale si affaccia Carulì. In seguito al successo della canzone la “fenesta” di Marechiaro verrà identificata e decorata con una targa, dopo che lo stesso Di Giacomo racconterà in un articolo di una sua visita in quel luogo diventato ormai famoso e di come avesse scoperto l'esistenza, in una trattoria, della finestra, della pianta di garofani e di una cameriera che si chiamava (guarda la combinazione!) Carolina. Potenza della musica!
A MARECHIARE Quanno spónta la luna a Marechiare, Chi dice ca li stelle so' lucente |