Francesca da Rimini tra arte, poesia e musica |
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Musica e Teatro | |||||||||
Martedì 16 Febbraio 2016 13:26 | |||||||||
Goethe
Francesca, figlia di Guido da Polenta, signore di Ravenna, è forse la figura più conosciuta della Commedia dantesca, certamente quella che ha appassionato intere generazioni di studenti per la sua tragica storia d'amore con Paolo, figlio di Malatesta da Verucchio, signore di Rimini. E' possibile che Dante abbia incontrato Paolo nel 1282, quando questi era stato nominato capitano del popolo a Firenze. Tre anni dopo venne ucciso dal fratello Gianciotto, che lo aveva colto in flagrante adulterio con la moglie Francesca. Fine della storia! Un fatto di cronaca nera come se ne sentono tanti anche oggi: “marito uccide la moglie sorpresa a tradirlo con l'amante”. Dante, invece, ha scelto di trasformare lo scandalo in una tenera e romantica relazione che ha ispirato la fantasia di pittori, musicisti, poeti e drammaturghi. E' questa la potenza dell'arte che, unita alla profonda sensibilità del poeta fiorentino, ha fermato in un punto,sublimandola, la storia dei due amanti colti nell'atto del bacio, sì da farne per sempre nell'immaginario collettivo il simbolo dell'amore e della passione. Così il Canto V dell'Inferno è diventato il Canto di Francesca, secondo la ben nota formula desanctisiana, per la stupenda creazione di una donna forte, che niente rinnega, assolutamente disarmante nel candore con cui difende il suo amore: Amor, ch'a nullo amato amar perdona… Superato l'ostacolo Minosse, il grottesco guardiano infernale che giudica le anime attorcigliando la lunga coda, grazie alla formula lasciapassare di Virgilio, Dante si trova davanti lo spettacolo delle “anime tristi di coloro che la ragion sommettono al talento”, cioè i lussuriosi, trascinate dalla bufera infernale come in vita furono travolte dalla tempesta della passione. Davanti a lui si avvicendano figure rese celebri dalla letteratura classica e romanza: Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena, Achille, Paride, Tristano e tante altre “ch'amor di nostra vita dipartille”. Tra pietà e smarrimento, il suo sguardo viene attratto da due che vanno insieme, leggeri, nel vento e “quali colombe” rispondono al suo richiamo e si avvicinano ai due poeti. Questa immagine, aerea e leggera, è stata ripresa da vari pittori, ognuno con la peculiarità del proprio stile. L'illustratore per eccellenza della Divina Commedia Gustave Doré, pittore ed incisore francese, ha aggiunto all'incisione una xilografia colorata,dove si avverte un gusto romantico e drammatico più intenso rispetto alla litografia. Ary Scheffer, pittore olandese che operò soprattutto in Francia, rappresenta le dolenti e bellissime figure dei due amanti che dominano con il loro andamento orizzontale sul drammatico sfondo scuro. Su di loro è spostata tutta l'attenzione del pittore, che relega i due poeti a una posizione marginale e buia. Decisamente singolare la scelta di Vitale Sala, che rappresenta un'ampia panoramica del cerchio dei lussuriosi con le anime disposte tutte a coppie, e non solo Paolo e Francesca, in costume storico e non nude forse per scrupoli di pudicizia. Sala anticipa anche la conclusione del canto V mostrando Dante, che sopraffatto dalla commozione, è caduto a terra “come corpo morto cade”. Infine Gaetano Previati, pittore che ha attraversato diverse fasi artistiche. Qui siamo nel periodo simbolista (1909) legato anche all'uso della tecnica divisionista, fatta di filamenti lunghi e luminosi che dissolvono la forma per accentuarne il significato spirituale. “ O animal grazїoso e benigno...” Da questo punto (v.88) in poi il Canto è quasi interamente occupato dal racconto di Francesca, che ricambia la sensibilità di Dante dicendo che lei e il suo compagno pregherebbero volentieri per lui, se Dio potesse ancora ascoltarli: “se fosse amico il re de l'universo, noi pregheremmo lui de la tua pace, poi c'hai pietà del nostro mal perverso”. Nel volgere di poche terzine ritorna il termine “pietà” che ritroveremo per la terza volta nella terzina conclusiva del canto nella variante “pietade” a fare rima con “cade”. Evidentemente una parola-chiave che testimonia una certa vicinanza del poeta al dramma dei due cognati. La pietà di Dante, tuttavia, non vuol essere una sorta di sottaciuta excusatio, una assoluzione del peccato di lussuria o un'attenuazione del tradimento di Francesca, sibbene umana compassione verso una condizione dolorosa da parte di chi conosce bene la forza travolgente della passione d'amore. “Siede la terra dove nata fui...” Senza dire il proprio nome, Francesca si presenta col luogo di nascita, sfondo necessario per capire l'amoroso incanto che segue, perché è proprio nella sua terra di Ravenna, “la marina dove 'l Po discende”, che Francesca s'innamorò di Paolo. In quei tempi Ravenna si trovava vicino al mare prima che i detriti del Po la allontanassero dalla costa. Si sente in questa terzina tutta la nostalgia nel ricordo affettivo della terra natia con l'immagine dello scorrere del fiume, connotato, per così dire, di umana sofferenza, che dopo i travagli e le difficoltà del fluire, può finalmente placarsi con i suoi affluenti nel mare, confondendo le sue acque con quelle marine. E poi l'amore, cantato, esaltato attraverso le tre celeberrime terzine:
“Amor... Amor... Amor...” - Francesca sta cercando di giustificare il suo tradimento in nome dell'Amore. E utilizza formule tipiche dell'amore trobadorico e cortese, come era inteso e vissuto nelle Corti medievali, nei termini usati dai fedeli d'amore e sviluppati dalla poesia toscana fino agli esiti dello Stil novo, in particolare di Guinizzelli, che certifica l'identità di amore e cuore gentile dotato di nobiltà d'animo (“Al cor gentil rempaira sempre amore”). Il genere di poesia che lo stesso Dante aveva praticato e a cui si dedicava ancora nel 1300. “Amor, ch'a nullo amato...” L'amore non permette che chi è amato a sua volta non ricambi l'amore. E' una tesi questa sostenuta da un monaco francese, Andrea Cappellano, il quale nel suo trattato “De Amore” aggiunge che il vero amore, forte, autentico, senza condizionamenti, si realizza fuori del matrimonio e sottolinea: “La scusa del matrimonio non esonera dall'amore”. L'affermazione di Cappellano va contestualizzata. Erano tempi in cui il matrimonio non era una scelta libera, ma un contratto. C'erano contratti che legavano in giovanissima età, addirittura da ragazzi. Dante, ad esempio, venne legato da promessa di matrimonio con Gemma all'età di dodici anni per interesse delle due famiglie, gli Alighieri e i Donati. Tutto si riduceva ad un contratto ed era facile che il tradimento potesse arrivare prima o poi. Francesca non rinnega niente, anzi ribadisce: questo amore “ancor non m'abbandona”. Un modo di mostrare tutta la sua forza, la sua coerenza di donna innamorata, oltre ogni condanna, umana e divina. “L'eroina dell'amore -dice Foscolo- , la donna in cui l'amore-passione è nobilitato fino al punto che essa, pur sapendosi dannata, pare che si creda non indegna del tutto di mandare lagrime e preghiere a Dio”. E il grande critico romantico Francesco De Sanctis soggiunge: “Francesca è donna e non altro che donna, ed è una compiuta persona poetica, di una chiarezza omerica. (…) Francesca non è il divino, ma l'umano e il terrestre... Non ha Francesca alcuna qualità volgare o malvagia, come odio, o rancore, o dispetto, e neppure alcuna speciale qualità buona; sembra che nel suo animo non possa farsi adito altro sentimento che l'amore. 'Amore, Amore, Amore!'. Qui è la sua felicità e qui è la sua miseria. (…) La sua parola è di una sincerità formidabile. -Mi amò, ed io l'amai-, ecco tutto”.
E' sempre il sentimento amoroso quello che ha condotto lei e Paolo ad una morte. “Quand'io intesi quelle anime offense, chinai 'l viso...” Dante china il viso e rimane assorto. Sta riflettendo sulle parole di Francesca connesse con le tematiche della letteratura amorosa, di cui egli stesso è un autorevole esponente, e vive un momento
“Francesca, i tuoi martìri...” Avendola ormai riconosciuta come protagonista della vicenda, Dante le si rivolge chiamandola per nome e chiedendo maggiori particolari sul momento che determinò la scoperta dell'amore, quale sia stata la scintilla che ha causato l'incendio. La domanda di Dante non va intesa come morbosa curiosità di particolari pruriginosi, ma come richiesta funzionale al tema del rapporto tra letteratura e morale. E Francesca, sottolineando che non c'è cosa più triste che ricordare i tempi felici nelle situazioni dolorose, tra il pianto racconta la sua storia. La scena si apre su un stanza privata della corte di Rimini ed è una vivace miniatura dove i due leggono la storia di Lancillotto e Ginevra culminante nel bacio fatale che li rese adulteri e li condusse a una morte:
Finisce qui il racconto di Francesca, tra le lacrime di Paolo che non ha mai proferito parola. A noi resta l'immagine di una donna viva, appassionata, tesa ancora alla rivendicazione del suo amore. Francesca è la quintessenza dell'amore, la figura realizzata e compiuta dell'amore-passione, secondo l'interpretazione figurale di Auerbach, il critico tedesco, per il quale le anime nell'aldilà realizzano compiutamente ciò che hanno cominciato ad essere sulla terra, dove sono solo “umbrae futurorum”, cioè anticipazioni dell'altra vita. Lettura - Bacio - Morte. I tre momenti di queste ultime terzine sono stati isolati come in dei fotogrammi e riproposti da molti pittori. Il tedesco Anselm Feuerbach, che operò a lungo a Roma, ha interpretato con sensibilità neoromantica il soggetto tradotto in chiave idilliaca nel momento del bacio, che ha avuto diverse versioni. Tra le più riproposte quella dello scozzese William Dyce, autore di soggetti tratti dal ciclo arturiano. La delicatezza del tratto e l'equilibrio compositivo rendono la scena molto dolce e romantica, grazie anche allo sfondo lunare. Il pittore rappresenta
Oltre che pittore Dante Gabriel Rossetti fu anche poeta e studioso di Dante. Fu tra i fondatori del movimento artistico inglese dei Preraffaelliti, che si rifaceva ai pittori del passato prima di Raffello. Qui recupera la spiritualità del passato colorandola coi suoi tipici tratti sensuali ed estetizzanti. La tela forse più famosa è quella del pittore francese Jean Auguste Dominique Ingres, espressione del neoclassicismo in opposizione alle tendenze romantiche. Il dipinto risolve la scena del bacio in un'immagine trobadorica adatta ad un soggetto medievale. Di Francesca viene messa in evidenza la sua pudicizia, riservando tutto l'ardore amoroso a Paolo che si protende ardito verso la cognata. A destra, di scorcio, Ingres ha inserito la figura del marito tradito, Gianciotto Malatesta, intento a spiare la coppia e pronto a usare la spada. Il tema dell'uccisione è stato affrontato da Gaetano Previati in uno dei diversi periodi artistici che ha attraversato. Qui è sotto l'influsso della Scapigliatura, ai cui canoni si è ispirato, dando del soggetto dantesco un'interpretazione realistica ed un'attualizzante carica di erotismo. Suggestiva la soluzione iconografica dell'unica spada che trafigge i due amanti, unendoli in un macabro amplesso presso un letto che occupa quasi tutto lo spazio del ristretto formato orizzontale della tela. Per finire, Alexandre Cabanel, pittore francese, che in questo quadro mostra gli elementi caratteristici della tradizione classica nella sapiente composizione, nella fattura liscia e i tratti precisi, nei dettagli iconografici c Il libro caduto dalle mani di Francesca ricorda che i due stavano leggendo un romanzo d'amore cortese, mentre l'assassino, nascosto dietro una tenda, tiene ancora in mano la spada insanguinata. Nella conclusione del Canto la pietade s'impadronisce completamente di Dante, che sviene e cade a terra:
L'umana compassione dell'uomo Dante non gli impedisce di esercitare il suo ruolo di giudice, condannando Paolo e Francesca all'Inferno. La comprensione non può arrivare a scusare il peccato. Bisogna tuttavia dire che un certo riguardo per questi peccatori Dante l'ha usato. Siamo nei piani alti dell'Inferno, appena al di sotto delle anime linde del Limbo. Tanto vento, d'accordo, ma stanno peggio quelli del cerchio sottostante, i golosi, riversi nel fango e nella pioggia battente. Insomma, le tentazioni della gola sono considerate dal poeta fiorentino più gravi di quelle della carne! L'affascinante storia creata da Dante doveva subire in seguito una serie di amplificazioni romantiche, iniziate con Boccaccio, primo studioso di Dante e della Commedia, che commentò in pubbliche conferenze (Esposizioni sopra la Comedia) a Firenze tra il 1373 e il 1374, fermandosi al XVII canto dell'Inferno dopo cinquantanove lezioni a causa della malattia che l'anno dopo lo portò alla morte. Boccaccio, dopo aver osservato che la storia narrata da Dante era verosimilmente inventata (come faceva a sapere che i due amanti stavano leggendo un romanzo arturiano?), parla dell'inganno a danno di Francesca attraverso un matrimonio per procura:
In conclusione, il Canto di Francesca è un canto d'amore e resta il più emozionante di tutto il poema. La simpatia (e l'indulgenza) per Francesca risponderà certamente -come è stato varie volte osservato- a un senso di gratitudine per la generosa ospitalità ravennate offerta a Dante ramingo da Guido Novello da Polenta, nipote di Francesca, ma vuol essere anche, se non soprattutto, il segno della proiezione del sentimento del poeta. Insomma, in quei versi Dante, che sapeva d'amore, ci ha messo anche un po' di se stesso. Egli conosceva i sentimenti di quella donna perché erano i suoi. Francesca doveva essere stata un suo specchio al femminile, come lui divisa tra matrimonio imposto dalle famiglie e spontaneità della passione. Ed è per questo che la pietosa tenerezza di Dante, così condivisibile nella sua umana compassione, ha trovato e trova sempre tanta sintonia nei lettori.
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