L'una e due disco (r) danze di Paolo Vincenti |
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Recensioni |
Sabato 22 Ottobre 2016 09:59 |
Sono finestre che si aprono su una realtà deformata, inquieta e inquietante, invertita,sfaccettata, materica, quasi tridimensionale in cui si annulla il rapporto interno - esterno, dritto - rovescio, in linea con la struttura complementare dell’opera che contiene, citando espressamente la “Nota dell’autore”:“prosette liriche (…)più lunghe e intimistiche” nel Primo Tempo, “componimenti più brevi e compatti”, nugae di tipo catulliano, nel Secondo Tempo. La struttura grafica del libro propone questa visione complementare e al tempo stesso oppositiva della realtà: due frontespizi, due foto dell’autore, due biografie, due dediche, capovolti gli uni rispetto agli altri: due possibilità di parlare della vita definita “una danza in tre tempi/(…). nasci vivi muori” (“Tripudium”). La divisione in Primo e Secondo Tempo, è, quindi, intercambiabile e la sottesa continuità trova il simbolo nella numerazione continuata delle pagine. In “L’una e Due” Paolo Vincenti gioca con le parole e i loro suoni. Il titolo stesso può significare, infatti, il bene e il male, due donne in una, una in due, ma anche suggerire il riferimento alla luna, l’astro del mistero, dell’inquietudine, se si pronuncia senza l’apostrofo; c’è il ritmo di marcia, c’è il tempo, quello cronologico “zavorrato”,” incarcerato”,” liberato”, “insanguinato”, e quello della musica, del battere e del levare, quello della danza; Il tempo della cultura, soprattutto classica, greca in particolare, che rivive in alcuni brani come “Sera dionisiaca” o “Timore Panico”, dove si incontrano atmosfere antiche e sensibilità moderna. Aleggia una musica antica di cembali, e tamburi, musica che è armonia o ritmo travolgente, panico e dionisiaco (“The Rithm of the Night”) Nello scritto della Prima Parte dal titolo “(L)una in due” il calembour si esplicita in tutta l a sua ambivalente complessità semantica, ritmata da un susseguirsi di allitterazioni( “sei”, la a più ricorrente, il pronome “ti”, la parola “disco”….), ambiguità semantica presente anche nella dedica ripetuta nelle due parti: “all’una in due/alle due in una”. Su tutto dunque la centralità della parola che informa, conquista, inganna, denuncia, diverte,illumina di verità, dà voce ai sentimenti; parola che è anch’essa ritmo, gioco, musica, ricordo e tempo. Di questa centralità e valore Paolo è consapevole, tanto da iniziare il “Primo tempo” con lo scritto “Danze di parole”, danze e non danza al singolare, perché la scrittura ne rappresenta l’avvolgente, rutilante dispiegasi e immergersi nella realtà, nella fantasia, nel sogno. Parole che vincono il tempo: “di tutto questo vivere e morire,/ secernere , sfogliare , battere e levare/raschiare il fondo , riemergere / smerciare, rompere, indennizzare/, non restano che anelanti,/ amanti, palpitanti, dimenticate parole”. Così recita la poesia che, non per nulla, si intitola “Parole”. L’inizio con la lettera minuscola non è dovuto ad una svista, Paolo Vincenti inizia tutte le poesie della Seconda Parte con la lettera minuscola, ma non il titolo. Quest’ultimo infatti individua il tema, ma le varie poesie sono il fluire del pensiero, il continuum della vita. E ancora in” Ri-alfabetizzazione”afferma :“e se chiamo cielo il soffitto/ sarà più stellata questa lontananza/ e sarà più azzurra la notte/e se il lavoro chiamo piacere/ il vuoto sarà meno ottundente/mentre la mattina faccio colazione”; poesia da leggere pensando a “La chiave dei sogni” di Magritte. Le Parole sono il marchio di Vincenti, il suo segno distintivo che egli sigla in modo sottilmente subliminare nel sottotitolo: Disco (R) Danze, utilizzando il simbolo del marchio registrato ( R ).La parola “Disco” richiama la musica, la geometria di una forma perfetta, la ripetitività, la ciclicità della vita, “Danze” rievoca musica, armonia e movimento compreso quello ciclico. Le due parole lette insieme alla R formano la parola “discordanze”, anch’essa subliminare riferimento alla chiave di lettura del libro. Nella Nota l’autore parla della sua opera come di una “satura lanx,” ossia il piatto di primizie offerto agli ospiti nella civiltà latina, ma il temine latino “satura” si riferisce anche all’etimologia del genere satirico: di nuovo il ricorso alla polisemia. Una miscellanea di ricordi, ricerca, amore, riflessioni, domande, critica all’ignoranza, satira dell’ipocrisia di un mondo che esalta l’apparenza, un “viaggio intorno all’uomo nello “Lo scempio del mondo”(come suona il titolo di una poesia), nella ricerca di “Cosa muove l’umanità”(altro titolo). Una poesia che canta le varie sfaccettature dell’amore, della nostalgia, del tempo che fugge (”La ragazza con la valigia”), che mai si piega alla rinuncia:“dopo aver gustato fino in fondo il brivido dell’assurdo/(.) azzardo # poesie , non mi ritiro, ma rilancio/(…)” ( Da lontano) Ne risulta un tentativo di dare senso alla vita, muovendo da un’ansia di sperimentazione da esprimere e condividere. I versi di “Auledda” penso possano sintetizzare questa interpretazione : “in un cortile metafisico /si incontrano gli opposti/ nel suono dei tamburi / il bene dialoga con il male/nel grande spazio griko/ si armonizzano i diversi “, dove trova spazio anche la sua terra, il Salento con le contraddizioni che ne sono l’anima. L’ispirazione di fondo è l’amore per la vita: “(..) imprevedibile vita/dannatissima vita”(Cambiamenti) con l’emozione della scoperta espressa in “Mi piace” “ è che mi piace così/ scassata, confusa, stravolta, stressata/mi piace così/ ingolfata, stranulata, imbrogliata, smarrita/ è che mi piace ancora/ maledetta, maledetta vita”. |