Aldo Vallone
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Mercoledì 29 Ottobre 2014 18:28 |
[Intervento presso l’Università Popolare Aldo Vallone Galatina, il 24 ottobre 2014]
Estate: fine degli anni ’80, terrazza dell’Anmi di Gallipoli. Io guardavo il professore Aldo Vallone, che alzava la tazzina del caffè, con quella sua mano candida, con quella sua aria che fa e disfa le cose, con quella sua voce ch’era piena di voci e di echi. In lui, pensavo, c’erano tutte le pagine della letteratura, della storia, della geologia, i planetari e gli edifici invisibili.
“Il linguaggio dell’uomo – disse - è un granello appena, ma bruciante sulla palma dello spazio. E l’uomo del sud, in particolare non matura, o quando matura è già vecchio. Eppure l’uomo del Sud è Omero, Eschilo, Euripide, ha sillabe ancestrali incandescenti, ha maree lune voci in fondo alle scale; ha trombe sonore, radici che spezzano il silenzio della storia, o rami che alzano case di suoni, e la notte si appoggia a lui per dormire. Dai dadi bianchi delle case di Bodini non escono numeri da giocare al lotto, ma uomini con il loro carico di speranze e un destino quasi sempre drammatico, tragico”.
Anch’io – professore - ho sempre pensato che il salentino è attraversato come da un pensiero azzurro e nero, inscindibili. Come noi ora, guarda verso il mare, che si solleva fino al grido più bianco, quel mare che quando si risveglia è come un gemito rabbioso che ti conficca le unghie nella nuca, ti squarcia strappandoti gli occhi, e sgretola le torri di sabbia. Verrebbe da dire, come quello scrittore sardo, Angioni, ma a che serve tanta acqua azzurra? Mi guarda un po’ perplesso. Forse il nostro Sud non ha mai avuto una vera patria, non ha mai veramente fatto parte dello Stato Italiano, è così, professore?
Già, è proprio così. Ma tu lo sai che disse Cavour a Luigi Carlo Farini al momento di assumere il governo del Mezzogiorno come luogotenente generale? : “Ma caro amico, che paesi sono mai questi! Che barbarie! Altro che Italia! Questa è Affrica: i beduini a riscontro di questi caffoni sono fior di virtù civile!”. Da queste considerazioni è nata l’Italia Unita, capisci? Unita da che cosa? Dallo scontro, da questa contrapposizione razzistica tra Nord e Sud, due Italie abitate da due stirpi diverse destinate a non incontrarsi mai. Con la scusa del brigantaggio, centomila soldati calarono al Sud dal Piemonte, uccisero centomila contadini, neanche un decimo di essi erano briganti, e neanche un centesimo sanfedisti e filoborbonici. Erano soltanto affamati. Ma i generali Lamarmora e Cialdini non lo sapevano. O meglio non gliene fregava niente. La durissima guerra contro il presunto brigantaggio fece più vittime delle guerre d’Indipendenza. Ma questo pochi lo sanno, o nessuno. Ed è su questi sedimenti che sono fiorite nel tempo teorie e pregiudizi fino alle opinioni del professor Miglio, maestro e parlamentare della Lega di Bossi e compagni. Ma noi non schiviamo le spade, questo ti voglio dire, amico mio. Non avere paura di questa notte infinita, che – lo sappiamo – è identica allo strazio dei nostri avi. Diamoci le ferite che dobbiamo e alziamo il tiro fino alle stelle. Non tiriamoci indietro. Mai, in nessuna circostanza.
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Aldo Vallone
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Mercoledì 25 Giugno 2014 07:52 |
IN VIAGGIO CON IL PROF. ALDO VALLONE. ALLA SCOPERTA DEL PIANETA DANTE
[in Incontri con il prof. Aldo Vallone]
- 1. Al Bar Italia
“Dante aveva dentro di sé il poema essenziale delle cose, una memoria prodigiosa che non teme confronti neanche coi computer di oggi, e il senso profetico del mistero”, -così mi dice uno dei massimi studiosi di Dante, il prof. Aldo Vallone, ordinario di letteratura italiana all’università Federico II di Napoli e direttore de “L’Alighieri” e “Casa di Dante”, mentre passeggiamo per il Corso, a Gallipoli, in una sera di fine Giugno del 2001, col cielo che è un’incudine dalla fronte rosa, come capita spesso di questa stagione. Ci fermiamo al Bar Italia e prendiamo un caffè in ghiaccio. Il professore ammicca con quel suo sguardo buono e profondo, sorride, “Oggi parliamo del degrado etico politico morale dei nostri tempi, ma ci si dimentica del passato; è stato sempre così. Dante scrive anche per individuare le cause generali che avevano condotto al progressivo intollerabile degrado della situazione politica d’allora; mette sotto accusa la decadenza e corruzione dell’intera società del suo tempo, dove si commettevano nefandezze e atrocità d’ogni tipo. Pochi signorotti erano padroni della vita e della morte di migliaia di esseri umani, erano al di sopra di qualsiasi legge, altro che immunità parlamentare! Quei mali non avrebbero potuto essere eliminati se non attraverso situazioni politiche al di sopra dei particolarismi municipali e attraverso una palingenesi di valori etici e umani. Per dire tutto ciò, e altre milioni di cose che gli affastellano la mente, gli irrompono da ogni dove e lo tengono sveglio inquieto ossessionato giorno e notte, Dante sperimenta altre forme di espressione e comunicazione letteraria. Cerca un lessico più vario, un linguaggio che abbia la forza dirompente di un laser e che sia fatto di immagini; ogni immagine deve essere tesa, fulminante, concentrata, tale da permettere di riassumere il concetto, o il personaggio trattato, in una sola battuta. E’ qualcosa di unico, pazzesco, un vero e proprio miracolo che non potrà mai più ripetersi in tutta la storia della letteratura. Leggere Dante è come scoprire un pianeta affascinante e irresistibile, non c’è momento dell’esperienza esistenziale di cui la Commedia non rechi testimonianza; non c’è aspetto del sapere e quasi direi del lavoro umano che non sia in qualche modo evocato; non c’è potenzialità della lingua che non vi trovi una messa in atto, Dante è una miniera inesauribile, un’enciclopedia sempre da scoprire, la poesia più alta che io conosca. Ci si passa una vita intera, come ho fatto io, nel pianeta Dante, e non basta. Leggerlo, studiarlo è anche una fatica interminabile in cui ogni successo ci allontana sempre più dalla meta. Io ancora lo studio e scopro sempre cose nuove, scopro ad esempio che i letterati di oggi sono ancora dietro Dante in quanto a modernità lessicali…figurati!
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Aldo Vallone
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Giovedì 19 Giugno 2014 07:45 |
Non solo lacrime
1. Lacrime ad usum infantis
Uno dice Pascoli e pensa alla cavallina storna, al grembiule nero e al colletto bianco, alla notte di san Lorenzo, col tremolio di stelle, o di uno stelo sotto una farfalla, alle illusioni finite in fretta e al ronzio di un’ape attorno al fiore, ai campi che svaniscono nell’onda sonora delle campane, ai silenzi, ai pezzetti di nulla e allo stormire di cipressi, alle voci e ai canti assorbiti nella malinconia del paesaggio, la piuma che esita o che palpita leggera nel nido abbandonato, il vento che piange nella campagna solitaria, alla panchetta e alla tessitrice che piange, ai versi come spartiti musicali e alle sere magiche e tenere, con i temporali che muoiono in dolce singulto, ai vespri odorosi di fieno; uno dice Pascoli e pensa a una serie di gadget dell’anima e della nostra lontana infanzia, tutte cose che saranno pure prodotte – come afferma Sanguineti - da una sorta di “macchinetta sadica di produzione liriche per lacrime ad usum infantis”, ma che tuttavia ti arrivano per le scorciatoie del cuore, come avviene per tutte le cose romantiche.
Uno dice Pascoli e rivede Aldo Vallone da Galatina, una sera d’estate di tanti anni fa sulla terrazza dell’Anmi di Gallipoli, con il clarinetto tutto mozartiano della nostalgia che suona in lontananza, chissà dove, dietro il mare. Rieccolo il grande critico letterario salentino che ora mi sorride di nuovo e mi dice con quella sua autorevolezza mite e bonaria: “Guardi che tutti i poeti italiani contemporanei, non solo i crepuscolari, devono qualcosa a Pascoli (Ungaretti, Betocchi ,Gatto, Saba e perfino Montale) per quel procedimento stilistico che si definisce nel caricare di un senso cosmico, di male cosmico, illuminante, un umile oggetto. Pascoli non è un piagnone, come viene dipinto, è uno che sta sul limite di un dramma altissimo, n’è anzi la voce o la coscienza più proba e veritiera. Il suo – più che privato - è un dramma di civiltà e di cultura, tanto più sofferto e cupo quanto più ingenuo e intemperante si mostrò il poeta nell’assumerlo”.
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Aldo Vallone
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Martedì 10 Giugno 2014 07:41 |
[In “Espresso Sud” (Rivista salentina diretta da Nicola Apollonio), e in Blog: Neobar, Cultura Salentina e Li(b)ero Libro]
1. Perchè Gadda?
Era il 4 dicembre 2006, quando fui ricoverato alla Clinica “Villa Pia”, a Roma, per “accertamenti” (era rimasta l’unica con posti ancora disponibili). Dalla mia biblioteca presi due libri, che avevo letto secoli prima. Uno era “I 60 racconti” di Dino Buzzati di cui in particolare m’interessava “Sette piani”, da cui era stato tratto il (brutto) film “Il fischio al naso” di Ugo Tognazzi . Lo volevo rileggere, forse per ragioni scaramantiche che letterarie. Come si sa il protagonista sembra non avere assolutamente nulla, si reca in quella lussuosa clinica “Sette piani” per una pura formalità, una sciocchezzuola, ma ci rimane per sempre, scendendo di piano in piano, fino alla camera mortuaria. L’altro libro era il “Pasticciaccio” di Carlo Emilio Gadda. In questo caso non sembravano sussistere particolari motivi (ma, come si vedrà, le scelte non sono mai a caso, obbediscono a qualcosa di sottile e inconscio), al di là del fatto che si tratta di un capolavoro della letteratura italiana, che mi rievocava, peraltro, diverse cose: gli anni dell’adolescenza, un film di Pietro Germi (appena discreto), e una piéce teatrale (pessima); ma, soprattutto, tornavo con la mente ad un lieto incontro di vent’anni prima con il professore Aldo Vallone - docente di Letteratura Italiana all’Università Federico II di Napoli - nella sua casa-biblioteca di Galatina (almeno trentamila volumi, di cui diecimila relativi al solo Dante, in tutte le salse e le lingue possibili). Ero andato a trovarlo, in quell’estate del 1988, insieme all’avvocato Felice Leopizzi, che era grande amico di Vallone, e l’aveva invitato a tenere una conferenza all’ANMI di Gallipoli sull’attualità di Dante, in cui m’ero proposto di fare il presentatore-coordinatore. Il professore aveva sul suo tavolino basso, da salotto, una copia della prima edizione in volume del Pasticciaccio (Garzanti, 1957) , che stava rileggendo “per la centesima, o duecentesima volta”, come mi disse poi.
A me Gadda, il bulimico capace di bere diciotto uova di seguito, come testimoniano Ungaretti e Montale, sembrava assai distante da Dante, che lui stesso definisce un “grande pettegolo della storia”. Se mai era assimilabile, per certi aspetti fobici, al malinconico Manzoni, o al nostalgico Cervantes... Così dissi: “Professore, perché Gadda, e perché proprio “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”?
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