Economia
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Domenica 18 Marzo 2012 12:59 |

Il "paradosso italiano"
[Nuovo Quotidianodi Puglia, sabato 17 marzo 2012]
Il CNRS francese lo definisce il “paradosso italiano”. Riguarda il fatto che, a fronte degli scarsissimi finanziamenti pubblici e privati alla ricerca scientifica, il numero (e la qualità) delle pubblicazioni scientifiche dei ricercatori italiani è significativamente alto. Si calcola che – nel periodo compreso fra il 2004 e il 2006 - il finanziamento pubblico alle Università italiane è stato circa pari all’1.13% del PIL, contro l’1.84% della media europea e che il finanziamento da parte di imprese private è stato pressoché irrilevante. In Italia, sono occupati nel settore della ricerca poco più di 3 lavoratori su mille occupati; in Francia lavorano 8 ricercatori su mille occupati. Fra il 1998 e il 2008, i ricercatori italiani, nel loro complesso, hanno prodotto quasi 380mila pubblicazioni, ponendo il nostro sistema della ricerca all’ottava posizione nel mondo e alla quarta posizione in Europa. I ricercatori italiani più produttivi sono collocati nelle aree delle scienze mediche, matematiche e fisiche, e, in questi settori, nel periodo considerato, le pubblicazioni italiane sono state fra quelle maggiormente citate su scala internazionale. E’ sufficiente questo dato per privare di fondamento la campagna mediatica di delegittimazione dell’Università pubblica italiana che ha preceduto e seguito la c.d. riforma Gelmini, finalizzata a restituire l’immagine di un sistema formativo e della ricerca “malato”: luogo di nepotismo, baronie, privilegi e scarsa produttività.
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Economia
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Lunedì 12 Marzo 2012 13:58 |

Il Governo Monti, le banche e la libertà d'impresa
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 12 marzo 2012]
A seguito della crisi del 2007-2008, si è generato un diffuso consenso sul fatto che – attribuendo la crisi esclusivamente all’eccessiva deregolamentazione dei mercati finanziari e del sistema bancario – sarebbe stata necessaria una maggiore regolamentazione degli stessi. Gli accordi internazionali del biennio 2009-2010 sono andati esattamente in questa direzione e, per quanto attiene al caso italiano e nei tempi più recenti, il Governo Monti intende muoversi lungo questa linea. Il più recente provvedimento in materia - inserito nel decreto sulle liberalizzazioni - azzera le commissioni sugli affidamenti bancari. Come è noto, il provvedimento ha dato luogo alle dimissioni dell’intero comitato di Presidenza dell’Associazione Bancaria Italiana, che le ha motivate facendo rilevare che questa disposizione limiterebbe la libertà d’impresa, ridurrebbe gli utili e avrebbe ricadute negative sull’occupazione nel settore bancario.
E’ opportuno preliminarmente sgombrare il campo da un equivoco: è ben difficile ritenere questo provvedimento un provvedimento di liberalizzazione, dal momento che – di fatto – si muove semmai nella direzione (contraria) della regolamentazione dei prezzi e delle tariffe, introducendo nuovi vincoli per gli Istituti di credito. Per molti aspetti, si tratta di un’inattesa svolta ‘dirigistica’ nella gestione della politica economica di questo Esecutivo, e non sono ben chiari gli effetti che ci si attende da queste misure. In ogni caso, si possono prefigurare due scenari.
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Economia
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Martedì 06 Marzo 2012 17:32 |
Riforma del lavoro e stato sociale
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di martedì 6 marzo 2012]
Il Governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, ha recentemente dichiarato che “lo Stato sociale europeo è morto”. Non è ben chiaro se la frase, che merita di essere commentata data l’autorevolezza di chi l’ha pronunciata e data l’enorme rilevanza del suo contenuto, debba essere letta in chiave descrittiva o normativa; ovvero se è un dato di fatto che il Welfare State appartiene a una fase storica ormai superata, o se questo sia auspicabile. Nel primo caso, Draghi ha sostanzialmente ragione. Nel secondo esprime un’opinione alquanto discutibile. In ogni caso, è l’ultima dichiarazione, in ordine di tempo, di una lunga sequenza di analoghi annunci. Si può ricordare che, già nel 1996, il Presidente USA Bill Clinton ebbe a dichiarare che “il Welfare State così come lo conosciamo è finito”.
E’ opportuno preliminarmente chiarire che, di norma, si intende per Welfare State un assetto istituzionale nel quale, a differenza dello Stato liberale, l’operatore pubblico si fa carico di garantire a tutti i cittadini l’accesso a beni e servizi considerati essenziali, fra i quali in primis l’assistenza sanitaria, l’istruzione pubblica, l’indennità di disoccupazione, l’assistenza di invalidità e di vecchiaia. Spesso, come nel caso italiano, questi diritti sono stati direttamente recepiti dal dettato costituzionale, e, in termini più generali, l’espansione del Welfare State si è accompagnata a una crescente eguaglianza distributiva e a un incisivo intervento pubblico di regolamentazione dei mercati, e del mercato del lavoro in primo luogo.
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Economia
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Martedì 28 Febbraio 2012 16:56 |
Gli inganni della "riforma" Gelmini
[in MicroMega online del 27 febbraio 2012]
Il CNRS francese lo definisce il “paradosso italiano”. Riguarda il fatto che, a fronte degli scarsissimi finanziamenti pubblici e privati alla ricerca scientifica, il numero (e la qualità) delle pubblicazioni scientifiche dei ricercatori italiani è significativamente alto. Si calcola che – nel periodo compreso fra il 2004 e il 2006 - il finanziamento pubblico alle Università italiane è stato circa pari all’1.13% del PIL, contro l’1.84% della media europea e che il finanziamento da parte di imprese private è stato pressoché irrilevante. In Italia, sono occupati nel settore della ricerca poco più di 3 lavoratori su mille occupati; in Francia lavorano 8 ricercatori su mille occupati. Fra il 1998 e il 2008, i ricercatori italiani, nel loro complesso, hanno prodotto quasi 380mila pubblicazioni, ponendo il nostro sistema della ricerca all’ottava posizione nel mondo e alla quarta posizione in Europa. I ricercatori italiani più produttivi sono collocati nelle aree delle scienze mediche, matematiche e fisiche, e, in questi settori, nel periodo considerato, le pubblicazioni italiane sono state fra quelle maggiormente citate su scala internazionale. E’ sufficiente questo dato per privare di fondamento la campagna mediatica di delegittimazione dell’Università pubblica italiana che ha preceduto e seguito la c.d. riforma Gelmini, finalizzata a restituire l’immagine di un sistema formativo e della ricerca “malato”: luogo di nepotismo, baronie, privilegi e scarsa produttività.
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