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Venerdì 04 Settembre 2015 19:24 |
Potremmo definire queste composizioni, con l’Autrice, create da sentimento e fisicità. In fin dei conti i sentimenti di qualsiasi tipo, dal dolore alla frenesia, sono sempre correlati ad un vissuto invisibile all’esterno ma anche alla dimensione fisica, corporea che il soggetto modula sulla base delle proprie esigenze di comunicazione. Perché la poesia, essendo pur sempre parto dell’autore, in maniera esplicita o sottintesa ha un interlocutore.
Qui ci troviamo dinnanzi ad una autrice che è in una fase esistenziale nella quale e della quale è appagata. Sia chiaro: non dico che sia felice ma, secondo me qui nella veste di lettore, trova nella scrittura il modo di autochiarirsi e comunicare i propri vissuti. Lei lo scrive in premessa colloquiando, in maniera metaforica, con il suo mondo, con la sua vita che è fatta di simpatie, amore, doveri, ma anche di dolori non cancellabili.
La premessa, però, è positiva ma senza cadere in un banale ottimismo. Daniela spiega che quello che ha scritto è dedicato alla vita: «dove ogni giorno scopro sprazzi di senso, tracce di Eden, epifanie del bello». Per questo si sente ancora in grado di rivolgersi all’altro «con gratitudine e amore». Tale spirito mai disarmante, mai piegato, mai rinunciatario riempie tutto il percorso che il lettore attento attraversa in ogni pagina e in ogni componimento.
C’è anche l’ironia pulita, scherzosa, con giochi di parole come nella poesia Nel silenzio: «Nel silenzio del ricordo/ riapre il vento/ la mia agenda./ Il colore:/ rosso fiamma./ Si chiamava smemoranda». Ma il clima delle composizioni di Daniela non è solo l’ironia,calembour, ma è anche richiamo a versi importanti nella storia della lirica poetica, come il manzoniano Sparsa le trecce morbide/ sull’affannoso petto che introduce nuove figure e nuovi vissuti con i quali l’autrice narra se stessa, si definisce ribelle e, soprattutto, in maniera non troppo indiretta, racconta come il suo presentarsi non è deciso da lei, ma, come spesso avviene per il rispetto degli adulti, è deciso da altri, in questo caso dalla madre, per quanto la non condivisione produca anche qualche problema nel rapporto tra i due soggetti: «Fughe svettanti/ di un’anima ribelle/ trainata dalla trecce/ sulle stelle/ che madri/ troppo sagge/ - o troppo stolte -/ non vollero vedere/ mai disciolte».
Questo rapporto con l’adulto, che comunque ha un ruolo parentale, forse in alcuni momenti ci fa sentire anche come si era nella fase dell’infanzia, anzi della nascita. In Vitaleggiamo: «Vedi/ mi muovo bene/ sulle ginocchia/ piegato/ quasi feto». Ma l’animus letterario ha ancora il sopravvento, però solo come input. Stavolta la suggestione iniziale è petrarchesca all’inizio per poi materializzarsi nel vissuto reale di una giovane donna del secondo millennio. In Solo e pensoso il discorso è diretto, non cerca metafore dotte, né ha riserve per parlare di situazioni estremamente intime, anche se dichiara la sua finzione calcolata nel rapporto con l’uomo. Ora siamo nello spazio della corporeità, del desiderio, dell’amore che si concretizza nella totalità del soggetto.
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Giovedì 16 Luglio 2015 07:23 |
["Il Galatino" anno XLVIII n. 13 del 10 luglio 2015]
Sangue, droga e sesso nel culto di Cibele e Attis
“Nello svolgimento logico della vita, accadono dei fenomeni che facilmente sconvolgono la nostra traballante sicurezza, il nostro equilibrio precario […] Al di là di ogni previsione. All’infuori di ogni prospettiva, si verificano delle coincidenze significative, che annullano la catena di causa ed effetto. È la sincronicità, il portento che ci afferra le braccia, il paradosso, l’occasione illuminante, lo scandalo, l’alchimia, il caso che entra nella nostra esistenza e in un attimo la scombina”.
Queste parole aprono la seconda parte del romanzo “L’ombra della madre” (Edizioni Kurumuny, Calimera, 2015) di Paolo Vincenti e in esse sono condensati i momenti salienti del thriller-noir, anticipandone – a pensarci bene – il finale.
In questo ultimo romanzo del giovane scrittore-professore di Ruffano vengono esaltate la grande cultura personale e soprattutto la padronanza della materia trattata, il mistero, in cui si immergono i protagonisti del romanzo in terra salentina. Infatti Francesca, Riccardo, Fabrizio, Alessandra ed altri ancora, che vivono a Lecce, vengono ineluttabilmente assorbiti dai riti del culto antichissimo di Cibele e di Attis.
La elegante narrazione avvinghia sempre più il lettore alle pagine del romanzo, mentre i personaggi (a volte vittime a volte carnefici, a seconda delle situazioni) si immergono nei riti satanici col proprio e l’altrui sangue in un susseguirsi di droga, canti, balli (pizzica) e soprattutto sesso in tutte le sue accezioni, esercitato anche con gay e con trans.
Ambientato a Lecce, il romanzo si sviluppa con continui colpi di scena assolutamente imprevedibili e con l’entrata in scena di personaggi nuovi che fanno da contorno ai protagonisti che col trascorrere delle pagine evidenziano la vera essenza della loro natura (demoniaca?).
Il finale è mozzafiato e naturalmente non va svelato in questa sede: basti sapere che una stessa donna, la madre appunto, è stata artefice dei destini di tutti i protagonisti della storia.
Il romanzo va sicuramente letto, anche perché la prosa di Paolo Vincenti, talmente ricercata da indurre ad avere sempre a disposizione un vocabolario della lingua italiana, introduce a studi specifici sul misticismo solleticando la curiosità del lettore. |
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Martedì 14 Luglio 2015 15:40 |
Manoscritti giovanili di Sigismondo Castromediano. (Archivio Castromediano di Lymburg), edito da Mario Congedo (2015), è l’ultima fatica di Fabio D’Astore, Presidente della Società “Dante Alighieri” di Casarano e docente di Lettere presso la Scuola Media - Istituto Comprensivo di Ruffano. D’Astore è un profondo conoscitore dell’attività letteraria del “duca bianco” Sigismondo Castromediano, avendo ad essa dedicato molti studi, fra i quali “Mi scriva, mi scriva sempre…" Regesto delle lettere edite ed inedite di Sigismondo Castromediano (Pensa multimedia 1998); Dall’oblio alla storia. Manoscritti di salentini tra Sette e Ottocento (Congedo editore 2001); Le biblioteche private nel Salento e “La Biblioteca” di Sigismondo Castromediano, in “Archivi e Biblioteche: la formazione professionale e le prospettive della ricerca in Puglia (Atti del Convegno di Studi, Arnesano 25 ottobre 2002)”, a cura di F. de Luca, Milella 2005; Beni culturali e identità nazionale in Sigismondo Castromediano, ne L'identità nazionale. Miti e paradigmi storiografici ottocenteschi (Atti del Convegno di Studi, Cavallino, 30-31 ottobre 2003), a cura di A. Quondam e G. Rizzo, Bulzoni 2005.
La figura di Castromediano, cui è intitolato il nostro Museo Provinciale di Lecce, indefesso ricercatore di memorie patrie, personaggio di spicco del Risorgimento italiano, è stata appena affrontata dal recentissimo libro Sigismondo Castromediano: il patriota, lo scrittore, il promotore di cultura. Atti del convegno Nazionale di Studi (Cavallino di Lecce, 30 novembre-1 dicembre 2012), a cura di F. D’Astore e A. L. Giannone, edito da Congedo per il “Centro Studi Sigismondo Castromediano e Gino Rizzo” (2014). Nel libro, a lumeggiare sul Castromediano letterato è stato proprio D’Astore col suo saggio Passi inediti di un manoscritto delle Memorie di Sigismondo Castromediano. Nello specifico, D’Astore si è soffermato sull’opera maggiore di Castromediano, quella per cui noi tutti lo conosciamo come scrittore, ossia le Memorie di cui, anche alla luce di documenti di recente acquisizione, D’Astore sta curando la riedizione critica. Varrà la pena ricordare che il libro Carceri e galere politiche. Memorie del Duca Sigismondo Castromediano, del 1895, che riporta ai duri anni trascorsi dal liberale Castromediano in prigione, ed è una delle opere più significative della memorialistica risorgimentale, è stato ripubblicato in ristampa fotomeccanica, prima nel 2005 e poi nel 2011 da Congedo per le cure di Gaetano Gorgoni. E di questa opera, di cui si conoscono numerose varianti, si è anche di recente ritrovata una nuova versione, manoscritta, recante la stesura completa delle Memorie, grazie allo studioso Gigi Montonato che ne riferisce in Notizia intorno al recupero di un manoscritto delle Memorie, nel volume degli Atti sopra riportato.
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Sabato 04 Luglio 2015 05:57 |
[“Il Titano", supplemento economico de “Il Galatino” anno XLVIII n. 12 del 26 giugno 2015, pp. 37-38]
Nel 1969 Vinicius De Moraes, Giuseppe Ungaretti e Sergio Endrigo composero un disco dal titolo “La vita, amico, è l’arte dell’incontro”. Questa formula può sembrare generica ma il termine “arte” invia ad ognuno di noi la responsabilità di scegliere coloro che ci accompagneranno nel nostro percorso di vita e che noi, per converso, accompagneremo per il tragitto che ci sarà dato dagli eventi esistenziali e/o da Qualcuno che li governa. Questa premessa introduce il mio rapporto con due amici di Galatina, cioè il professore Giuseppe – Peppino per gli amici - Virgilio e suo figlio Gianluca, anch’egli docente. Per essendo sposato dal 1973 con Marisa, galatinese, non è stata Galatina a farci conoscere ma, negli anni precedenti, Leuca dove la mia famiglia paterna villeggiava da sempre. Per uno o due anni la mia casa leucana – in fitto – aveva di fronte l’appartamento dove il prof. Virgilio villeggiava. I nostri rapporti erano quelli formali del saluto quando ci si incontrava o quando ci affacciavamo dai rispettivi balconcini-ingresso.
Con il tempo e con il mio insegnamento liceale a Galatina, divenni collega di Virgilio senior, quindi nacque una familiarità più solida e ricca. Lo conobbi non solo come docente ma come studioso soprattutto della storia del meridione italiano. Agli inizi del 1999, mi inviò un suo libro su Galatina e mi invitò alla presentazione dello stesso. Purtroppo non potetti andare e gli anticipai il fatto con questa lettera: «4 gennaio 1999, Caro Giuseppe, purtroppo, come temevo, non mi sarà possibile essere materialmente presente stasera alla presentazione del tuo volume. Le altre presenze e gli altri interventi già da soli sono giusto e qualificato riconoscimento al tuo lavoro. Come ho avuto modo di scriverti appena lessi il tuo volume, ripeto che per la storia di Galatina nel Novecento il tuo studio inaugura una lettura e un metodo storiografico ancora non esercitati su quell’oggetto. La mia competenza scientifica, nell’ambito della storia civile e politica, è assai scarsa, quindi i miei giudizi rischiano di essere provvisori e non pertinenti. Ma non mi manca l’attenzione per i fatti nostri e, soprattutto, per una storia della “società civile” che si affianca e determina la storia delle istituzioni locali e nazionali. La tua opera valorizza tutto questo, anche sulla base di un’antica sensibilità gobettiana (e oggi, forse, bobbiana) che ancora traspare dalle tue pagine. Tu hai inaugurato un modo di fare la storia di Galatina che si affianca e integra le altre storie e cronache, pure importanti, che hanno riguardato personaggi notevoli, singoli eventi, oltre la storiografia della pietà e della coscienza religiosa materializzate in monumenti, pratiche, culti. Quindi ancora grazie per l’invito rivoltomi, ma anche, e soprattutto, per il tuo umile, paziente, nascosto lavoro di custodia e di alto insegnamento di una nostra storia veramente “civile”».
Progressivamente divenni anche amico del figlio Gianluca, oggi non solo uomo di cultura, ma programmatore e stimolatore di eventi pregevoli. Di lui negli ultimi tempi sono apparsi due testi: Così stanno le cose, Edit Santoro, Galatina, luglio 2014, pp. 152, e nel settembre dello stesso anno, un testo in francese, con lo stesso editore, Résonances salentines con introduzione e traduzione dall’italiano a cura di Annie e Walter Gamet, di 274 pagine. Il volume riprende e coordina testi pubblicati su “Il Galatino”.
Mentre leggevo il primo testo, appuntavo con la matita che quel testo mi sembrava una passeggiata a Galatina che permetteva all’autore una lettura diretta e completa della sua città dandoci quasi una sociologia urbana della stessa. Leggiamo nella conclusione del Preambolo: «Sostiamo e raccontiamo senza mitologie, senza querimonie, disarmati, guardando in tutte le direzioni. Non diamo retta a chi ci mette addosso la paura di essere esposti al mondo, al passaggio violento del nemico. È lui il nemico. Sostiamo senza paura, con molta curiosità verso quanto avanza tutt’intorno, lungo la linea lontana dell’orizzonte. Da lì, come sempre, i nostri amici, migranti come uccelli, porteranno le risposte giuste a noi che sostiamo». Un atto di umiltà ma anche un atto di autocoscienza fondata perché l’autore non si presta a finte modestie di maniera. Sa di non essere un monsù Travet, ma un serio e impegnato lavoratore della cultura.
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Lunedì 29 Giugno 2015 16:14 |
“C’è una linea obliqua che attraversa la vita. Una linea che interseca incontri e pensieri, andate e ritorni, aspettative e fallimenti. Su quella linea s’incontrano i destini dei personaggi di questo libro. Il tempo danza con loro al ritmo delle occasioni perse”. (Paolo Vincenti)
Il suddetto romanzo, edito da Kurumuy ed ambientato nel suggestivo scenario di una Lecce misteriosa, accattivante fin dalle prime pagine per la sua scrittura minuziosa e fluida, con i suoi personaggi che sembrano strappati alla realtà odierna si snoda tra ed oltre le righe dello stesso, al ritmo di una particolare sarabanda intrisa di passione, amore ed esoterismo!
Sì, proprio così, perché dalla Professoressa Francesca Colasanti, titolare della cattedra di Storia delle Religioni presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Lecce, al Professor Riccardo Valentini, passando poi per tanti altri personaggi che non finiscono mai di stupire il lettore, è tutto un avvicendarsi di colpi di scena.
Il rito a cui s’ispira il romanzo, lo spiega chiaramente lo stesso Paolo Vincenti, versatile scrittore e giornalista salentino, in una nota al libro: “Si fa riferimento al culto antichissimo di Cibele e Attis, che si praticava a Roma durante i primi secoli dell’Impero. Un culto sincretico, orgiastico e salvifico (…) Fra canti languidi, musiche ossessive e danze vertiginose, i fedeli della Magna Mater Cibele e del dio Attis si abbandonavano completamente alla mistica ammaliati dallo splendore e dalla pompa delle feste”.
“Sul palcoscenico meraviglioso della vita, come scrive lo stesso autore, chiamati a recitare ciascuno la propria parte, capita di pensare che si siano mischiati i fogli o che l’autore del soggetto abbia smarrito il copione quando, in momenti di particolare travaglio, ci sembra di essere sbattuti dagli eventi come la navicella di Prospero dalle onde della più furiosa tempesta”.
Eh, già… la scrittura non è mero esercizio letterario, ma è catarsi, lì dove si svela e rivela al lettore attento spingendosi nei più reconditi meandri della mente e dell’animo umano, infatti, se da un lato è fondamentale per lo scrittore essere il più preciso ed esauriente possibile, egli dovrà, allo stesso tempo, evitare quei dettagli personali che non si dimostrano rilevanti per una “reale” descrizione della propria interiorità in tutte le sue trasformazioni, proprio come è nello stile del nostro versatile autore salentino.
Buona lettura e meditazione a tutti, in punta di… suspense! |
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