Programma maggio 2022
Università Popolare “Aldo Vallone” Anno accademico 2021-2022 Programma di Maggio 2022 Mercoledì 4 maggio, ore 18:30, Sala Convegni dell’ex Monastero delle Clarisse: dott. Massimo Graziuso,... Leggi tutto...
Convocazione Assemblea dei Soci 22 aprile 2022
Convocazione Assemblea dei Soci   L’Assemblea dei Soci è convocata nella Sala Convegni dell’ex Monastero delle Clarisse venerdì 22 aprile alle ore 16,00 in prima convocazione e 17,00 in... Leggi tutto...
Programma Aprile 2022
Università Popolare “Aldo Vallone” Anno accademico 2021-2022 Programma di Aprile 2022 ●       Venerdì 1 aprile, ore 17:00, Officine di Placetelling - L’Università del Salento... Leggi tutto...
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Inaugurazione Anno accademico 2021-2022
Venerdì 22 ottobre alle ore 18:00, nell’ex Convento delle Clarisse in piazza Galluccio, avrà luogo l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Popolare “Aldo Vallone”:... Leggi tutto...
A rivederci. In presenza, Forse anche a distanza. Ma sempre attivi. E comunque uniti.
Il nostro Anno Accademico è finito, come sempre, con l'arrivo dell'estate, anche se il contemporaneo "sbiancamento" della nostra Regione e la possibilità, finalmente, di organizzare incontri in... Leggi tutto...
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Gli Atti del Convegno su Sigismondo Castromediano PDF Stampa E-mail
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Mercoledì 25 Marzo 2015 06:47

Antonio Lucio Giannone – Fabio D’Astore (a cura di), Sigismondo Castromediano: il patriota, lo scrittore, il promotoredi cultura, Atti del Convegno Nazionale di Studi (Cavallino di Lecce, 30 novembre - 1 dicembre 2012), Centro Studi “Sigismondo Castromediano e Gino Rizzo”, Galatina, Mario Congedo  Editore, 2014, pp. 374, € 30,00.

 

Gli eventi culturali organizzati per i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia hanno lasciato in arretrato alcuni lavori, che vedono la luce sì in ritardo ma, si direbbe, con maggior efficacia di lettura perché adeguatamente distanziati rispetto al contesto celebrativo, che non sempre lascia tempo e modo di un bilancio critico. Nel nostro caso vengono pubblicati con un ritardo di due anni – fisiologico per casi come questo – gli Atti del Convegno celebrativo sia della ricorrenza nazionale che del bicentenario della nascita di Sigismondo, duca di Castromediano, poliedrico protagonista dell’Ottocento romantico e risorgimentale.

Non occorre essere particolarmente addentrati nella bibliografia degli studi salentini per constatare, anche ad uno sguardo generale, come intorno al duca di Castromediano si sia sviluppata un’abbondante pubblicistica, prodotta tuttavia in modo discontinuo nel tempo, eterogenea quanto a valore e significato, ma nella quale è facilmente riconoscibile una decisa prevalenza delle più accreditate firme della cultura salentina. Un primo momento di interesse, acceso all’indomani della scomparsa del patriota e in un clima di entusiasmo post-unitario, vede l’assunzione di impegno da parte di Pietro Palumbo, che si concretizza nella edizione di scritti inediti o di quelli già pubblicati. La fase successiva attraversa gli anni trenta del Novecento, in un momento storico di forte rilancio degli ideali nazionalistici, grazie agli impulsi impressi da Nicola Vacca: su diversi numeri del periodico da lui fondato e diretto, “Rinascenza Salentina”, appaiono a puntate stralci delle memorie e dell’epistolario del Castromediano. Dopo un trentennio di silenzio, l’occasione per una nuova stagione di studi viene offerta dal centenario dell’Unità d’Italia, che stimola una ricerca ultradecennale, caratterizzata da apporti originali: spiccano, fra questi, la ricezione da parte del mondo accademico, che pubblica su un periodico dell’Università leccese un saggio storico del Castromediano e, soprattutto, l’apporto dello storico della letteratura Aldo Vallone, che oltre a valorizzarne scritti giovanili, propone un’antologia delle Memorie del duca ad uso scolastico. Nel medesimo periodo, notevoli anche i contributi dell’archivista Michela Doria Pastore e di Michele Paone (noto storico dell’arte, e non solo) che fra l’altro richiama l’attenzione sull’impegno profuso dal duca come promotore e organizzatore di cultura. Il filo viene ripreso, per rimanere ininterrotto sino ad oggi, in occasione del primo centenario della morte del Nostro (1995): al costante interesse per le Memorie, che attirano ben tre esperte rivisitazioni critiche e filologiche (fra di esse, si ricorda l’edizione di Pier Fausto Palumbo per il Centro Studi Salentini), si affianca la scoperta degli scritti storiografici del duca, e la sistemazione organica del ricchissimo epistolario (anche in forma di regesti), dovuta alla paziente cura di Fabio D’Astore. Dobbiamo infine all’appassionata competenza di Antonio Lucio Giannone, docente di Letteratura italiana contemporanea presso l’Ateneo salentino, il lavoro di contestualizzazione delle opere del Castromediano, nell’ambito della sua indagine sul rapporto tra i centri e le periferie della produzione letteraria italiana.

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Il tempo e la parola. Lo spazio del poeta: su Carlo Alberto Augieri PDF Stampa E-mail
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Giovedì 12 Marzo 2015 09:54

[“Nuovo Quotidiano di Puglia di mercoledì 11 marzo 2015]

 

Mentre parola dopo parola, verso per verso, entravo – mi addentravo- nell’ultimo libro poetico di Carlo A. Augieri, avvertivo il richiamo di altri suoi libri, dei saggi, come se quei libri, quei saggi, potessero indicarmi una direzione, o farmi compagnia nella lettura.

Così ho letto “Nel rondinìo del tempo” (Milella) e parallelamente ritornavo su alcune pagine di “Leggere, raccontare, comprendersi”: quelle, per esempio,  in cui Augieri dice che leggere implica un incontro con l’altro, che con il leggere si fa parlare dentro la propria coscienza la parola altrui.

Mi è parso, allora, di rintracciare il senso primordiale, radicale, che scorre per tutto il libro, che talvolta prorompe, talvolta è sotterraneo, che talvolta vibra, turbina, o bisbiglia. Il senso dell’altro, anche del sé come altro, il senso dell’incontro con l’altro e con sé, il senso della parola che interroga, scandaglia, che rivela identità, che tenta l’indicibile, senza mai sfidarlo. Perché Augieri sa che l’indicibile resta comunque tale, che resiste ad ogni assedio e assalto di metafora.

Come il tempo: indicibile nella sua sostanza intima, nella sua profondità abissale. Ecco:il tempo. Questo libro di Augieri è un altro confronto con il tempo, un altro incontro che avviene  al buio della ragione e all’ombra  della parola poetica, sul confine tra sapere e non sapere, nella dimensione del desiderio di andare oltre: il visibile, l’udibile; anche oltre il pensabile, anche oltre quello che si può percepire, sentire, immaginare nella cecità: “Con gli occhi chiusi nessuno è cieco/lungo il piacere/la cecità/intima lingua del sapere prima dei saperi il non/ vedere…”

La luce ci nega l’intimità degli occhi chiusi, scrive, “ ci abitua a separare ad andare via/a immaginare col tatto il lontano e/ quel che non si tocca/ a separarci il corpo dall’avvicinamento/ a dividere l’esistere dall’invisibile/ a limitare la nostalgia in ciò che si vede/a limitare la madre in quella che vede/ a fare dell’apprensione l’incerto/ a fare di Dio un cieco che barcolla/ nel caso”.

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La pittora dei demoni di Antonio Errico PDF Stampa E-mail
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Sabato 03 Gennaio 2015 09:40

Che si scriva  per rabbia o  per amore, si scrive, che si scriva per colmare un vuoto, per una mancanza o per un empito, per un eccesso di vita, si scrive. Che si scriva per fare i conti con i propri demoni, si scrive; oppure si dipinge, come fa la protagonista  di La pittora dei demoni (2014), ultima prova narrativa di Antonio Errico, per Manni Editore. Ambientato nel Seicento, fra Napoli e altre località non meglio precisate dell’Italia meridionale, questo romanzo affronta un periodo caratterizzato da grande fermento artistico, attraverso le cupe e tormentate vicende dei suoi personaggi. Una pittrice e un violinista: vite parallele seminate di luci e ombre, inseguite da rimorsi, tallonate da colpe. Due vite parallele, di amore e morte, che ne sussumono altre, nell’ampia  orchestrazione creata  dall’autore, che è anche  raffinato intellettuale, saggista, dirigente scolastico. Due vite, quelle dei due artisti , destinate a correre come due rette parallele senza incrociarsi mai, se non intervenisse invece il fato, l’elemento insaputo, l’arcano, a sconvolgerle e renderle perpendicolari. La scrittura di Antonio Errico scorre piana, circolare,  e anche stavolta il senso di questo romanzo è negli aggettivi, nei sinonimi e nei contrari, e soprattutto negli spazi bianchi fra una parola e l’altra, tra una frase e l’altra. Anche stavolta si tratta di un libro che si impone all’attenzione non solo per la sua resa artistica ma anche per la sua proposta originale nell’indagine psicologica così attenta a cogliere ogni emozione dei suoi personaggi,  ogni sussulto, ogni momento rivelatore della coscienza.

Il genere letterario nel quale si colloca il libro infatti  è quello del romanzo psicologico, nato agli inizi del Novecento in seguito agli studi di Sigmund Freud, il padre della psicanalisi. Da  Svevo a Pirandello, il punto di forza di questa forma di romanzo è lo scandaglio interiore, l’attenzione ai moti dell’animo dei personaggi che si muovono sulla scena, alle loro pulsioni, alla loro vita interiore. Così nei romanzi di Errico la narrazione si frantuma, si disgrega  in una sorta di flusso di coscienza ininterrotto, alla Joyce. La descrizione del mondo esterno, se c’è,  non è mai oggettiva, ma sempre filtrata dalla sensibilità di chi lo guarda.  E’, la sua,  una narrazione di odori, colori, pensieri, memorie, riflessi, fortemente impressionista.  Non una scrittura di cose, insomma, ma di sensazioni. Questa tecnica narrativa si serve del monologo interiore, diventa sospesa, rarefatta , onirica, vagamente metafisica.

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Per Amore... solo per amore di Ortensio Seclì PDF Stampa E-mail
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Sabato 27 Dicembre 2014 09:39

L’amore per la piccola patria può avere diverse sfaccettature e portare  uno storico a farsi romanziere. Così l’erudito Ortensio Seclì  lascia le ricerche e la saggistica e profonde la sua abilità scrittoria nell’invenzione narrativa.  E dopo “Il giardino grande” (2012), pubblica, sempre con l’editore Il Laboratorio di Parabita, “Per amore…solo per amore” (2014). A dire il vero, la commistione dei generi non è trovata di poco momento e lo sanno bene gli appassionati lettori dei romanzi storici. In questo genere letterario di gran successo infatti si colloca il libro di Seclì, che unisce alla piacevolezza della fiction, la precisione del dato storico, in un impianto narrativo solido cui fa da basamento la pluridecennale esperienza letteraria dell’autore. La complessa vita sociale, politica e religiosa  parabitana fa da sfondo alla narrazione e si intreccia alle varie love stories raccontate. Nell’ordine:  quella sfortunata e senza prole fra il duchino Giovanni e l’ aristocratica napoletana Olimpia, che monopolizza la prima parte del libro e la cui sfortuna viene attribuita da un lato alla fama da jettatore che il nobiluomo Della Valle, padre di Olimpia si porta dietro, e dall’altro alla “maledizione di Rosaria”, vale a dire la protagonista della storia d’amore del precedente libro di Seclì, la quale, a detta di Lucia la Greca, madre di Giovannino, dopo aver disonorato la famiglia dei Ferrari in vita, a causa del matrimonio fra lei, popolana, e l’altolocato Don Saverio, continuava a portar sfortuna anche dopo morta. Poi la storia d’amore, pure molto tormentata, fra Vincenzo Ferrari, figlio di quella stessa Rosaria Cataldo, e Lucia Nicolazzo, che occupa la parte centrale del libro;  l’amore di Andrea Giannelli, noto esponente liberale del risorgimento salentino, e Agnese, una dei tre figli di Vincenzo e Lucia; la storia d’amore, complice Giuseppe Ferrari, fra l’umile falegname Gaetano e la bella Concetta;  e infine la storia d’amore fra lo stesso Giuseppe, terzo figlio dei signori Vincenzo e Lucia, anche Sindaco di Parabita dal 1857 e il 1860, ed una esponente del popolo, tanto povera quanto onesta e timorata di Dio, Nunziata.

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Ritratti salentini 4. Maria Pia Romano e la settima stella PDF Stampa E-mail
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Venerdì 26 Dicembre 2014 09:39

Un testamento liquido.

Chi è Maria Pia Romano?  E’ presto detto. “Un’innamorata del silenzio/ che scrive storie di pelle e di mare”. L’immagine che ho di lei  è quella di una ragazza salentina intelligente, bella, colta, piena di vitalità, sportiva (una sub vera e propria con tanto di brevetto, una sirenetta, di quelle che “possono amare solo ciò che scorre”) , con un neo veneziano sulla guancia sinistra e lunghissime ciglia nere (“Ho ciglia lunghe per dissetarmi d’ombra”) sotto uno sguardo di velluto, sognante, che scivola sulle cose invisibili, che crea le cose che nascono dal nulla, dalla trasparenza degli atomi , “dai granelli di polvere che turbinano in un raggio di sole in una stanza buia” . E’ una che scrive da molti anni, da sempre. Scrive per professione ( è giornalista), ma anche per diletto, per vocazione, per dannazione. Scrive ogni giorno che ha fatto Dio, per celebrare un rito, per farsi un’anima, o un supplemento d’anima. E scrive di mare, metafora dell’inconscio, che è forza creativa e distruttiva, come nella sua ultima silloge di poesie, La Settima stella, Besa, Nardò, 2009,  - che mi ha inviato, con una splendida e lirica dedica personale . Poesie dense e intense, piene di simboli, miti, metafore, rinvii, roba da doppia o tripla lettura, poesie che parlano ovviamente di mare, ma anche di silenzi. E di Sud, “tra foglie di tabacco  e pieghe d’anima… sapori di mandorle … silenzi incurvati… notti dei coltelli”, con case bianche che sudano scirocco, con pescatori vuoti  con le reti in  mano, lenzuoli al vento, lidi murati,  rosari di salsedine,  conchiglie e terrecotte, “notti immobili e sogni lasciati seccare al sole… collane di sogni che non hanno ganci per chiudersi”, fatti di cieli scomposti e di armonia di stelle, di giorni azzurri e solitudini. Sogni  pieni di volti, lasciati, perduti, ritrovati, svaniti, volti comunque amati.   E  noi avvertiamo, sentiamo ancora quelle grida di vento, quel  sudore di  pietra, quelle preghiere e lacrime  di speranze nate nel dolore, vediamo quel teatro del pathos di naufragi e sconfitte, quel ricettacolo di ricchezze dove si mescolano le cose più strane, folli, misteriose, (voci di flauto e di conchiglie colorate) e impreviste di questo suo “testamento liquido”: Sono acqua / ora che il corpo giace / sul fondale dipinto / e l’anima mastica vagabondaggi di sale”, ( vds. pag. 11). Il suo è un atto di fede (“Mi fido della bellezza aperta del mare”)  nei confronti di quel mare degli eventi della storia, mare invisibile ad occhio nudo,  dove servono più di mille parole  per trarne una sola essenza, una sola goccia, che è amara, salata, come una medicina che non sempre guarisce. E’ un atto di fede anche nei confronti del suo Sud con la esse maiuscola, nonostante le mille e una difficoltà di natura esistenziale: “So che la mia vita è qui / Nella terra che non capisce le mie lettere. / Eppure conosce il mio alfabeto. / A Sud.” (vds. pag. 28).

Maria Pia cerca di tradurre  la musica che fanno le onde nella propria lingua, che è misera, insufficiente, incapace di esprimere il suo pensiero fulmineo (troppo veloce per le parole) che le attraversa la mente come un lemure notturno. Seguirla su questi sentieri, in queste traiettorie  “che sono parabole di vento” significa per uno come me ri-attraversare  tutte le spiagge interiori del mondo, sentirmi di nuovo scorrere i minuti, le ore, i giorni, gli anni tra le dita, avere il tempo di ri-ammassare abbastanza giovinezza per ricominciare da capo il tran tran del lunedì mattino;  significa tenere nascosti nei taschini sconosciuti che ci cuciamo sotto la pelle  tutti quei pensieri strani, quelle fantasie un po’ morbose, quelle astrusità che ci frullano per la testa, e poi, zac, farne una collana e infilare parole come perle, una dopo l’altra, come fa la zingara quando ti legge la mano e scruta, e sente percepisce le tue reazioni. Una  rosa di verbi , sostantivi e  aggettivi che ti ri-creino quel  soprassalto di emozioni. Senza mai dimenticare che Maria Pia ha mani da funambola, è una sensuale affabulatrice, una fromboliera, una prestigiatrice di parole con cui scrive il mondo, le cose e i desideri, i viaggi, le distanze, le mappe, le rotte, le partenze e gli arrivi che forse non ci sono mai stati.

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