L’ utopia politica di Omero: la società felice dei Feaci |
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Sallentina |
Lunedì 18 Marzo 2013 21:16 |
[Ricordando l’amico scomparso Gino Pisanò]
Scriveva Claudio Magris ne L’anello di Clarisse, riprendendo una tesi di Adorno e Horkheimer: L’ io occidentale è simboleggiato da Odisseo, che costruisce faticosamente la propria identità e il proprio dominio su Itaca, sul suo equipaggio su se stesso rinunciando alle Sirene, a Calipso, al fiore del loto, ossia resistendo allatentazione di abbandonarsi alla beata indifferenza in grembo alla natura. Per questo fine Odisseo abdica alla dispersione dionisiaca dell io nel fluire delle forme sensibili , attingendo la categoria dell’apollineo. Tale categoria, nietzscheana come l altra (il dionisiaco), sussume in sé la sua storia di naufrago e si materializza nel suo approdo sull isola dei Feaci, dove giunge azzerato in ogni energia, nelle vesti di nessuno, come astutamente si era definito a Polifemo. Quel nome (udéis) si trasformava, dunque, in omen, cioè presagio della nuova (e apparentemente definitiva) dimensione nichilistica. Nella paideia omerica, l' isola dei Feaci assume un ruolo di border-line: essa è il confine che separa il mondo della storia e della realtà da quello dell utopia circa l' essere e il dover essere. Dover essere riferito all' uomo, che solo dopo aver sperimentato la forza devastante del mare, da astuto è diventato saggio, quindi polìmetis, polìtropos, polimècanos, poichilòmetis (aggettivi tutti afferenti al campo semantico della saggezza, della lungimiranza, della versatilità ), degno di essere re, purificato dal dolore e dalla sventura, annientato nel suo essere sanguinario e fraudolento, destinato, pertanto, a rigenerarsi e a ricrearsi un regno. [Leggi l'allegato] |