Albe infrante (1982-95) - Parte prima |
![]() |
![]() |
![]() |
Poesia |
Venerdì 26 Luglio 2013 18:05 |
Del fatto qui narrato si erano perse le tracce. Si tramandava solo oralmente, nella Terra d’Otranto, una storia avvenuta più di mille anni fa; la storia di un regno precipitato, scomparso, a causa di una serie eventi ostili (complice il Fato), poco chiari. Un regno antico, un tempo florido, giunto a un punto di non ritorno, che anche nel disfacimento, nella decadenza, conservava (forse ancor più), un’aura di splendore. Solo da alcuni anni è stato rinvenuto, da un trattatista anonimo, il manoscritto, opera autografa in versi, dell’ultimo giovane erede al trono. In questo modo, a suo modo, egli ci ha lasciato testimonianza.
Preambolo In un tempo remoto e indefinito, un principe di un regno del Sud al confine con l’Oriente, e a ridosso del mare, rievoca, attraverso un de-pensamento, la rovina verso cui è andato incontro il suo regno. Il discorso si sviluppa attraverso un flusso di coscienza allucinato e fantastico, in cui la memoria si perde nei meandri del non detto, del manque. Il mancante infatti è uno dei tanti fili conduttori che si intrecciano nel parlato del “radioso principe”, ora sospeso nell’assenza, nello smarrimento incolmabile, nel vano sforzo di ricostruire ciò che è andato irrimediabilmente perduto, non attraverso la memoria, bensì attraverso i vuoti di memoria, cioè attraverso gli esiti di esperienze passate ma nebulose, vissute ma non accertate, fuori dalla Storia, di sensazioni forse solo immaginate, comunque non documentabili, avverse, fuori da un io o da un contatto stabiliti. La lingua adattata al nostro “moderno idioma” per motivi metrico-stilistici, rende l’irrappresentabile rappresentato, al di là delle età, nella vacuità. Tutto il suo parlare è un continuo rivolgersi ad una donna amata, adorata, precipitata e dispersa insieme a lui, i cui contorni, così come anche il nome, sbiadiscono, quasi svaniscono (Magda, Malvia), in una ripetizione ossessiva di gesti e simboli che ricorrono fino all’abbandono, nel tentativo, anche questo inutile, di farsi una ragione della perdita (per sua causa) della donna sublime. Il personaggio che non ha nome, sospeso com’è fuori dal tempo, resta attendibile solo attraverso la memoria dei luoghi mitici da lui frequentati e vissuti. Un Sud ancestrale, splendido, barocco, coacervo di stili ed atmosfere dal cui ricordo il protagonista non riesce a staccarsi. Il Sud di una Terra d’Otranto senza tempo che da sempre “gira su se stessa. A vuoto.” (C. B.). Affabulatrice, maliarda e distruttrice che costringe chi vi nasce a non potersi mai distaccare.
Scorci d’Oriente
M’accorgo quanti uccelli di passo in fondo ai tramonti.
Di quando in quando si sente la serica maga e mercanti di corpi coprono la luna riversa sui platani.
Lontano ti scorge la vela l’albero maestro guiderà la rotta sotto l’accozzaglia di stelle (seguirti nel recesso rimosso, nella sabbia desertica).
Ritorno poi nell’ingarbuglio della mia città sferzata dai venti a dipanare il gomitolo dei tuoi fianchi e legarti alla notte buia di cristalli sul mare.
Dai laghi esala la nebbia ritrovo i visi rubicondi in acque sottostanti.
Il tuo corpo è offuscato per sempre mi aggrappo a un lembo.
Domani udrò soltanto la tua voce dai mari sconfinati.
Arabeschi
Restituisco a te oggi l’avviluppo delle note che un tempo sua maestà il re cieco donò a piene mani ai musici vaganti. Dipingo il mio angolo incensato di silenziosi abissi e l’attesa mi porta fuori con le navi nell’intimo silenzio dell’oceano che ora assale blasfemo ed erode i resti di queste terre. Giungo a te Malvia eden di pianto mistero capillare perché riannodi lo stupore atavico travolgendo me figlio della promiscuità.
Arditi limiti
Ancora tu transfuga del mancante devastata dai fuggiaschi sempre volta ai margini illusori. Quando la sera crolla sui vetri e il grido divampa fendendo la macabra litania temporale. Se violassi il tuo corpo con l’aguzza lancia non potrei contare le raffiche di vento che ci separano e scrivere i tuoi versi su carta vetrata.
Ricordo uno sguardo nitidamente perso e un mare battente. Il vento tra i neri capelli, la fredda lontananza di un’isola e ancora il mare, e le tue mani confuse, appena teneramente sfiorate.
***
Camminavamo insieme per lunghi tragitti e il silenzio era nostro compagno. mi tenevi la mano con gli occhi distanti e con te avrei attraversato i sentieri delle oscure notti. Ora il pensare s’è fatto sterile e il silenzio è il nemico dei lunghi meriggi. Tu riposi sulle tenere foglie e di rado ti sfiora la brina. Così ti imprimi come fiore d’azzurrità stellare terso nel sereno sonno d’aprile.
Casa sul mare
Così lego le ore alle pause repentine arretrando al suono fatiscente delle campane. Vengo a prenderti a districare il tuo corpo nella ferrosa casa vicino la darsena -postribolo di uccelli- dove gli scogli sono testimoni di una congerie che ti inizia dal sesso e si rompe in un rombo non udito nel nostro eterno soliloquio. Cercando un luogo la tana dei coralli per scavarti dentro mi tendo e precipito nel fumo di acque termali dove un giorno sorgeva la mia città ora dissolta nelle viscere del vento.
***
1 Ci divide la strada Magda tra me simbiosi dei contrari unico passo. Così ti vedo in metropolitana sfocata nel vetro amore notturno poi niente più.
2 La sera si dilata galleggia al di sopra.
3 Magda volto allegorico perfezione di ieri non ti lascio simboli. Per me il viaggio in un paese chiaroscurale e distese di sabbia.
***
rincorro il venditore bilingue che sapeva di me quando sostavo nella darsena dei rigattieri mentre ora resisto all’usura e replico i giorni nella morte sottile. Ancora immobile davanti a te Magda resta poco del lago del bivio dove ti incontrai. Ora lì giacciono diversi giacigli infestati dagli avi lubrici cosparsi di giada nei vicoli ciechi ai margini di un abbandono. Ora riscatto i momenti dissanguati rintracciandoti al vagare del dio serpente nelle aureole invaghite di versi nei solstizi dissipati nelle stagioni perdute immaginandoti.
Dopo
La pianta è nata ieri nel portone Oggi sono morto nella rada e ciò è simile al trasporto del seme.
Il ristagno è ormai visibile nell’elica rubi il risveglio alla notte e te ne vai.
Domani inizierà l’era non so dire altro ho superato foreste di spini. |