Ad un amico mai perduto |
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Prosa |
Giovedì 21 Novembre 2013 08:35 |
Com’è difficile, allora, dire qualcosa di qualcosa; di qualcuno poi, pare impossibile. Come intricati, quanto ambigui, come infirmate da aspetti discordi sono le certezze; da quante voci, da quanti sguardi sovrapposti, cieco ognuno agli altri, perché a se stesso; convinto ognuno d’essere assoluto, ed assolto. Congerie di dicerie s’ammassano, così tra i ricordi. S’affida ognuno a quella che crede memoria come all’ultima zattera nell’oceano d’oblio, o d’insignificanza. Per fortuna il ricordo è anche carne e sangue, è corpo che non muore, anche mutando. Per fortuna degli sciocchi, negoziatori del tempo, l’unico avere, dissacratori dell’essere. Dinanzi ai quali, il pudore solo scampa. Anche se spudorata è l’epoca intera. Il vero ricordo è oggetto doloroso, ma non, come si crede, per chi ricorda, e dice o tace. Soprattutto lo è, doloroso, per chi non voglia ricordare, e inganna se stesso, credendo interrotto il nastro dei giorni. Credendo poter ricostruire il tempo a suo piacimento, e riuscendovi anche. Ironica e generosa la realtà, ha spazio per inganni infiniti. Non ha un modo solo, l’assenza di farsi presenza, crediamo. «Troppe cautele, dì la tua parola! Dì cosa ricordi. O taci». «Sai? Molte volte il custode della purezza è il più grato complice del violentatore»… Ho cominciato a scrivere, nel ricordo di un amico carissimo, di un maestro; ricco d’imperfezioni, certo. Ma chi non lo è? Di contraddizioni, all’apparenza inspiegabili. Ma chi, non lo è? Smettiamo questo moralismo stantio: vivere è contraddirsi; controfarsi addirittura. Conta ciò che si cerca, e ciò che si trova; conta come, lo si cerca e trova. Ma niente e nessuno scampa alla violenza, all’imperfezione. Saggiamente gli Antichi si finsero imperfetti e violenti anche gli Immortali; per meglio poter amare le violenze e imperfezioni, nostre. «Non c’è dunque differenza, per te, tra un onesto e un bastardo?» «Questa, mio caro, è la domanda di un bastardo, o di un vigliacco». Ho cominciato a scrivere pensando a quell’amico, la cui presenza e il cui lavoro hanno, forse infinitamente, accresciuto la mia vita. Poiché vi hanno portato tenerezza e bellezza senz’altro; ma vi hanno portato apertura e conoscenza di parti di mondo sulle cui superfici sarei altrimenti scivolato, senz’abitarle. Ma sono stato, e sono, un uomo fortunato, non è stato l’unico che ho incontrato. Non dare oggi il suo nome in pasto a cani maledici, dei quali la storia è prodiga, oltremisura, e più tra mura confidenti: tacendolo congiungerlo ai pochi, capaci di dare tempo alla vita e vita al tempo… ho modo migliore, per ricordarlo? Salento, Novembre 2013 |