La lanterna di Diogene 18-19 |
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Prosa |
Martedì 05 Maggio 2015 16:36 |
Ieri sera, giovedì che precede la Pasqua, io e Marisa abbiamo confermato la tradizione locale, credo da secoli, del giro delle chiese per fermarsi davanti agli altari dove è allestito il “sepolcro”, addobbato con piante e fiori, che vuole ricordare quello, molto più povero e doloroso, che fu di Cristo. Negli anni precedenti normalmente, a mia memoria, ogni chiesa, piccola o grande, aveva un altare dedicato a questa pratica religiosa. Girare per le chiese era anche un ritrovarsi tra amici, salutarsi e scambiarsi, con brevi frasi, gli auguri l’uno all’altro e così via. Quest’anno a Lecce una disposizione della Chiesa locale ha ridotto questa pratica, autorizzando l’allestimento del sepolcro solo a quattro chiese parrocchiali, per questo giro che è insieme religioso e civile, perché è la città nel suo complesso che si ritrova in una prassi di fede. E quanti non credenti abbiamo visto praticare questo momento comunitario anche entrando nelle chiese?! Il mio non vuole né può essere una critica alla decisione della Chiesa leccese, ma solo aprire in me stesso una riflessione: e se sono io che, per egoismo e pigrizia intellettuale, voglio che nulla si muti? Non lo so e sicuramente si tratta di un falso problema che io sto sollevando, un problema di per sé non religioso, ma solo di una mia cultura che altri chiamerebbero passatista: che nulla cambi rispetto alle situazioni e agli eventi com’erano quando io ho cominciato a conoscerli e a viverli. Poi mi rendo conto che il mio ragionamento è egoistico e reazionario: che tutto si fermi com’era quando io ho cominciato a pensare. Superomismo o grettezza culturale? Ho da riflette sino alla prossima Pasqua.
[“Il Galatino” anno XLVIII n. 8 del 24 aprile 2015, p. 5]
Alcuni giorni fa sono stato invitato dall’Associazione leccese degli arbitri di calcio a parlare sull’etica del giornalista sportivo. Questo incontro è avvenuto all’interno di un corso di formazione di aspiranti arbitri dove erano anche importanti giornalisti sportivi del Salento. Io ho premesso di aver visto la mia prima partita di calcio quando avevo 10 anni e fu una partita di serie C tra Lecce ed Empoli, al Carlo Pranzo. Ho aggiunto che quella partita ebbe una conclusione poco sportiva perché si giunse, alla fine della competizione, a denigrare e insultare l’arbitro che aveva diretto l’incontro, perché aveva concesso un rigore alla squadra ospite e non aveva concesso un rigore al Lecce. Quindi il Lecce perse per 1 a 0. Ma la cosa non finì qui. A partita conclusa, alcuni tifosi scalmanati inseguirono la macchina dell’arbitro fino o a Taranto per pestarlo. Per fortuna le forze dell’ordine gli fecero trovare un elicottero con il quale il soggetto inseguito poté rientra nella sua città, cioè in Sicilia. Già, perché quell’arbitro era Carmelo Lobello di Siracusa, che negli anni successivi si rivelò come uno dei migliori arbitri europei. Ma, come tutte le passioni, anche quella del pallone fa perdere talvolta, nel campo e fuori, il senso dell’equilibrio e rimane solo passione che, come dice il termine, è uno stato che il soggetto patisce e non riesce a governare. Fino a giungere agli omicidi tra tifosi che abbiamo avuto in Italia qualche mese fa. Così non è calcio, ma solo corrida dove a morire non è un toro ma un uomo.
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