Lina |
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Necrologi e Ricordi |
Giovedì 09 Luglio 2015 21:27 |
Non ha scritto molto, Lina; ha affidato a un’opera fondamentale (e filologicamente fondata) la sua qualità di studiosa: è stata esploratrice di pochi autori ma indagati con l’acume del suo sguardo apparentemente severo ma solo teso a illuminare le pieghe anche più riposte di un discorso. Chi l’ha conosciuta e frequentata per qualche tempo conosceva bene quello sguardo: acuminato esplorante, tagliente come un laser, ma lontano da ogni indiscrezione. Aveva, Lina, scritta nel suo nome la sua vocazione: Carolina (Lina per gli amici), poiché il suo nome indica una forma di lontana scrittura medievale. Al mondo moderno, ancor più alla contemporaneità, era rivolto lo sguardo di Lina, come dicono con chiarezza le scelte operate per i suoi corsi universitari. Sobria fino a una secchezza di temi, come si sospetterebbe proprio dalle sue scelte, aveva come principio lo scavo su zone apparentemente limitate della ricerca letterarie. Ma una volta avvicinate, quelle zone si aprivano a sempre nuovo respiro, si arricchivano strada facendo fino ad aperture che non trascuravano nulla ma non ammettevano il troppo e il vano. Ogni acquisto doveva essere ben definito. I titoli dei suoi corsi e dei suoi libri conducono ai percorsi prescelti: Il “Crepuscolo” e la cultura lombarda dell’Ottocento (1966); Il carteggio Tenca-Maffei (1973); Eugenio Camerini: dieci anni di vita letteraria in Piemonte 1850-1859 (1977); Giovanni Verga: prove d’autore (1983); Sul primo Verga (1997); Il teatro di Fabrizio Colamussi (1990); Verga e il teatro europeo (1992); Sul primo Verga (1995); La rima gigante del Verga (1997) D’Annunzio (Primo vere) (1999). Fortunatissimo fu il lavoro dedicato al carteggio Tenca-Maffei che ridisegnava un mondo alla vigilia di importanti trasformazioni in area europea e che riportava alla memoria le pagine memorialistiche di un celebrato libro di Raffaello Barbiera, Il salotto della contessa Maffei, miniera inesauribile di aneddoti e di informazioni. Lina non era la Lina di Saba, la “buona, “la meravigliosa Lina” (chi cercasse nel nome la traccia di un carattere): aveva una divisa di severità, come s’è accennato, ma non era scostante e manifestava una sua amabilità contenuta e sorvegliata. Amava la puntualità. Era una persona aristocratica nel tratto, elegante nell’assisa quotidiana. Impeccabile è, forse, la parola che potrebbe compiutamente definirla. Coltivava un segreto: la scrittura autonoma, da realizzare in proprio dopo aver dedicato tanta passione e tanto spazio a quella altrui, sia pure dotta e quale che fossero la forza e il fascino che potesse esercitare su di lei lettrice ed esploratrice di pagine ‘immortali’. Nasce così la personale scrittura letteraria, la prosa del romanzo Una “storia” del Noveceno. Il romanzo è un contenitore di temi e motivi che assillano il secolo trascorso e svelano un’attenzione, nell’autrice, che forse nessuno avrebbe sospettato. La quarta di copertina del romanzo chiarisce, nella scheda di presentazione, alcuni atteggiamenti profondi della narrazione, mette in luce i “valori” che sono stati le guide della vita di Lina. Si legga un passaggio almeno di quella scheda e si avrà una sorta di confessione. Dice così: “Nel romanzo, ai fini di una più esatta interpretazione, va anche rilevato il valore che si dà al senso dell’onore, dell’onestà, e ancora al gesto, al sacrificio e infine l’importanza che viene riconosciuta a un livello simbolico del destino e della morte. E la bella morte è assunta con determinazione da Jacopo, protagonista ideale del romanzo, uno degli eroi che la storia non registra”. |