C'è Musica e... Musica… 9. La Buona Novella di Fabrizio De André (parte prima) |
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Musica e Teatro |
Martedì 29 Dicembre 2015 08:58 |
Adesso sarebbe da sciocchi dire: è tutta colpa di Eva! In amore non ci sono colpe univoche. Semmai ci sono colpi... al cuore, colpi... di testa, qualche volta... di genio. L'offerta di Eva accettata da Adamo, sia pure dopo qualche titubanza, fu un atto d'amore. Che costò, sì, il Paradiso terrestre, ma fu anche il meraviglioso inizio della storia dell'uomo. Fatto salvo il libero arbitrio, son dell'idea che Dio l'abbia fatto apposta! Doveva trovare un pretesto per dare avvio alle generazioni, a questa straordinaria, grandiosa avventura della Storia dell'umanità, che noi viviamo adesso, ma che tanti uomini hanno vissuto prima di noi e tanti altri vivranno ancora dopo di noi. E poi perché, ad un certo punto della Storia, si potesse rivelare agli uomini sotto forma di uomo. Certo, la luce... lo splendore del Paradiso... l'ardore dello Spirito... tutte belle cose, ma volete mettere l'umano? Il prodigio di dare Corpo allo Spirito, il piacere di crescere nel grembo di una Vergine, alla quale Egli stesso, sotto forma di Angelo, si era presentato e si era dichiarato dicendole: Ave, Maria! Il Signore sia teco, benedetta sii tu fra le donne.(Lc., I, 28). E poi venire al mondo, nascere come tutti si nasce, crescere, predicare e stupire tutti con parole come: amore, fraternità, pietà, rispetto, uguaglianza. E, infine, morire... messo in croce per salvarci dopo averci perdonati. Una Rivoluzione! - Il più grande rivoluzionario di tutti i tempi - ha detto Fabrizio De André, il quale nel 1970 ha composto uno degli album più belli ed ispirati della sua indimenticabile produzione: La Buona Novella. Si tratta di una composizione di dieci brani musicali, comprensivi di due cori: uno iniziale, Laudate Dominum, e uno finale, Laudate Hominem. Gli altri otto sono incentrati sulle figure di Maria e di Giuseppe (la prima parte, il lato A del vecchio Lp) e sulla Passione di Cristo (la seconda parte). I testi a cui De André attinge non sono i Vangeli canonici, ma quelli Apocrifi. L'aggettivo apocrifo (in greco ἀπόκρυφος) vuol dire segreto, nascosto, ed è sinonimo di falso, non autentico, eretico, irregolare, non in linea con il canon (κανών), cioè la norma, la regola. Per questo gli Apocrifi, spesso pseudoepigrafi (cioè falsamente attribuiti) di qualche apostolo o discepolo, furono esclusi dal canone e quindi dalla pubblica lettura liturgica in quanto ritenuti portatori di tradizioni misteriose o esoteriche, in contraddizione con la versione cattolica del Nuovo Testamento, che si rifà esclusivamente ai Vangeli canonici, cioè ai quattro evangelisti, Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Questo non vuol dire che i Vangeli apocrifi non abbiano una loro dimensione significativa sia sul piano letterario come pure sul piano storico. Diciamo che danno maggiore spazio a certi aspetti della vita quotidiana, rendendo più umani i personaggi della storia cristiana, rappresentati in maniera più vivace e colorita. Ad es.: nei Vangeli canonici si parla poco della nascita e infanzia di Maria e si dice pochissimo dell'infanzia di Gesù. Al contrario negli Apocrifi si dà largo spazio a questi momenti, talora con affermazioni e particolari abbondantemente e gratuitamente miracolistici, il che spiega la decisione della Chiesa di escludere tutto quanto non rispondesse al suo impianto dogmatico e spirituale. E tuttavia i Vangeli apocrifi, che sono stati scritti in diverse epoche a partire dal II fino al VI secolo, hanno il loro fascino proprio perchè ci consegnano una dimensione umana e sono una delle testimonianze più vive del cristianesimo primitivo. Qui i cristiani riversano tutto il loro ingenuo bisogno di conoscere del proprio Salvatore e Maestro più di quanto i quattro Vangeli canonici non dicano. La letteratura popolare di ogni tempo ha ricavato da questi testi molte delle sue pagine migliori. L'arte figurativa cristiana, l'agiografia, la novellistica medievale hanno largamente attinto a questi racconti, ripetendone i motivi e imitandone gli atteggiamenti. De André si era già accostato al tema religioso e alla figura di Gesù in particolare aveva dedicato, nel 1967, una canzone, Si chiamava Gesù, in cui lasciava chiaramente trasparire la sua attenzione alla figura dell'uomo, storicamente esistito, che opera tra gli uomini più che al figlio di Dio in missione salvifica: (…) Alcuni lo dissero santo per altri ebbe meno virtù Si faceva chiamare Gesù. Non intendo cantare la gloria né invocare la grazia e il perdono di chi penso non fu altri che un uomo come Dio passato alla storia (...) E morì come tutti si muore Come tutti cambiando colore non si può dire non sia servito a molto perché il male dalla terra non fu tolto. Ebbe forse un po' troppe virtù, ebbe un volto ed un nome: Gesù. Di Maria dicono fosse il figlio sulla croce sbiancò come un giglio.
L'umanità di Gesù viene particolarmente sottolineata nell'ultima strofa con una serie di caratteristiche tipicamente umane: un corpo debole e morente, fatto di carne e di sangue (“... morì come tutti cambiando colore”); un'identità personale e un modo per riconoscerlo (“un volto ed un nome); una madre e quindi anche rapporti famigliari e una provenienza sociale (“... di Maria … il figlio”). La canzone, nonostante il tenace rifiuto della Rai che la giudicava blasfema, venne a lungo programmata sulla radio vaticana. L'espressione “non si può dire sia servito a molto/ perché il male dalla terra non fu tolto” si riferisce al sacrificio di Gesù, non per banalizzarlo, ma per rifletterci sopra, per capire che la conquista della libertà e della salvezza passa attraverso continui sacrifici. Va notato che “il libertarismo di Fabrizio, in quel tempo, risuonava all'unisono -naturalmente da sponde diverse- con il desiderio di rinnovamento che stava investendo la Chiesa a partire dal dopoguerra e, in modo particolare, dal pontificato di Giovanni XXIII” (Romano Giuffrida, De André: Gli occhi della memoria, pag. 47). Si tratta dello stesso desiderio che porterà il Papa a convocare il Concilio Vaticano II, durante il quale si discuterà anche della Chiesa dei poveri, oggi tanto riproposta da Papa Francesco, e dal quale Concilio nascerà la scuola teologica nota come “teologia della liberazione”. “Da sponde diverse” però. Questo rinnovato libertarismo cattolico proviene principalmente da una riflessione teologica e religiosa, mentre l'interesse di De André per i motivi cristiani proviene da una riflessione anarchica e libertaria. I risultati, tuttavia, sono molto simili. Questa riflessione culmina nell'album La Buona Novella, elaborato nel 1969 e pubblicato l'anno seguente con gli interventi di Roberto Dané e gli arrangiamenti di Giampiero Reverberi. A chi lo attaccava perché, nel bel mezzo della rivolta studentesca, si metteva a scrivere su qualcosa di così anacronistico, se non addirittura reazionario, come lo era, per alcuni, la storia di Gesù Cristo, Fabrizio De André rispondeva che [...]La buona novella […] era un'allegoria che si precisava nel paragone fra le istanze migliori e più sensate della rivolta del Sessantotto e istanze, da un punto di vista spirituale sicuramente più elevate, ma da un punto di vista etico-sociale, direi, molto simili, che un signore 1969 anni prima aveva fatto contro gli abusi del potere, contro i soprusi dell'autorità, in nome di un egalitarismo e di una fratellanza universali. Si chiamava Gesù di Nazareth e, secondo me, è stato e rimasto il più grande rivoluzionario di tutti i tempi. Il disco è il primo concept-album dell'autore, con partitura e testo composto per dar voce a molti personaggi: Maria, Giuseppe, Tito, uno dei due ladroni crocifisso con Gesù, il coro delle madri, un falegname, il popolo. Dai Vangeli apocrifi De André trasse quel che gli serviva con grande libertà e fantasia nel creare situazioni ed atmosfere. “Scelsi i Vangeli scritti da autori armeni, bizantini, greci perché -dice Fabrizio- erano una versione laica della storia di quell'eroe rivoluzionario che era Cristo, che predicava la fratellanza universale. Solo che Marco e gli altri erano un po' l'ufficio stampa, gli Apocrifi invece vanno a ruota libera. I Sinottici risentono dell'influenza del Vecchio Testamento. Negli altri c'è più umanità”. E infatti il coro Laudate Dominum, ripetuto tre volte, in stile quasi gregoriano con intonazione solenne e cupa, che dà avvio alla prima parte dell'album, sembra ricordare il potere, la fredda autorità del Dio Supremo, assai distante dal più accorato e appassionato Laudate Hominen, che chiude l'intero disco. Dopo la solennità del Coro introduttivo una musica incantata come in un'atmosfera fiabesca introduce L'infanzia di Maria, che ad appena tre anni i genitori, Gioacchino ed Anna, portano al tempio per adempiere al voto fatto da Anna se fosse diventata feconda e avesse partorito. La fonte utilizzata da De André è il Protovangelo di Giacomo scritto, secondo alcuni, nel 150. Giacomo viene considerato fratello di Gesù, figlio di Giuseppe avuto dal precedente matrimonio. Nella tradizione ortodossa si parla di fratellastri di Gesù, mentre la chiesa cattolica opta per l'interpretazione dei fratelli di Gesù come cugini di primo grado. Le parole del Protovangelo sono inserite nel testo dell'album, ma non sono incise sul disco: L'infanzia di Maria
... E Gioacchino disse: ' ecco che ha compiuto i tre anni!
Maria cresce nel Tempio ma a dodici anni, al momento del primo ciclo mestruale, ne viene espulsa: ... E quando raggiunse l'età dei dodici anni E quando i sacerdoti ti rifiutarono alloggio
La crescita di Maria nel Tempio, tra i tre e i dodici anni, implica un'usanza che non trova conferma in nessuna fonte storica ed appare inverosimile. Il particolare, volto a sottolineare la santità di Maria dalla nascita, è accolto dalla tradizione ortodossa e può essere visto come il corrispettivo del dogma cattolico della Immacolata Concezione. L'unica “colpa” che Maria aveva era quella di essere femmina in un mondo esclusivamente maschile, quello del Tempio. “In evidente età da marito -dice De André- viene fatta sposare secondo il rituale dell'epoca, chiamando cioè a raccolta tutto il popolo dei senza moglie, vale a dire non soltanto gli scapoli ma anche i vedovi e, attraverso una sorta di lotteria, viene assegnata in moglie ad un anziano falegname di nome Giuseppe”.
guarda la carne del Paradiso.
Balza evidente l'insistita anafora dell'imperativo del verbo guardare, con cui Maria viene sottoposta agli sguardi carichi di libidine di chi osserva le varie parti del corpo senza che ella abbia alcuna possibilità di coprirsi o di nascondersi. Una completa perdita di privacy, un'usurpazione della personalità. Il “vincitore” è Giuseppe, rappresentato come una vittima dell'indegna lotteria, l'unico forse a non sperare di vedersi assegnata “la vergine del Signore”. ... E Zaccaria il Gran Sacerdote disse a Giuseppe: Giuseppe, un vecchio falegname, consapevole della propria età, già padre di altri figli, prese con sé Maria e, subito dopo un matrimonio senza voglie e senza intenzione, se ne partì per andare a lavorare altrove, come precisa l'ultima strofa, in realtà un breve passo in prosa, letta da De André come epilogo all'intera canzone. Le citazioni dal Protovangelo di Giacomo servono a fare da contesto alle diverse strofe, che senza di esse potrebbero sembrare un po' ermetiche, dal momento che il protovangelo di Giacomo e i fatti ivi narrati non sono noti a un pubblico vasto.
Il ritorno di Giuseppe Giuseppe tornò dal suo viaggio di lavoro con un regalo di nozze abbastanza singolare, una bambola che egli stesso aveva intagliato nel legno perché la sua sposa potesse tornare “a quei giochi/ lasciati quando i tuoi anni/ erano così pochi”. Stelle già dal tramonto Odore di Gerusalemme Il deserto assimilato a una distesa di segatura richiama il duro lavoro e il mestiere di Giuseppe. Migrante in cerca di pane, anche Giuseppe diventa un uomo della sabbia ...rinchiuso nei silenzi d'una prigione senza confini. Il deserto come prigione senza confini può essere letto come una metafora della società dominata dall'ingiustizia, che Gesù ha voluto contrastare con tutte le conseguenze che sappiamo. E tuttavia il motivo del viaggio indica il perseverare della speranza. E ricorda biblicamente anche l'esodo d'Israele e tutto il tormento per ritornare alla terra promessa, cioè alla liberazione. Ed è in questo contesto che De André ha voluto introdurre la notizia del concepimento di Gesù, il rivoluzionario che porta nel mondo, e in particolare, in quel mondo di violenza e di sopraffazione, la sua parola di amore, di fratellanza e di convivenza pacifica di cui abbiamo tanto bisogno ancora oggi. Soprattutto oggi. Ed è sempre questa parola “Buona Novella” (in greco: εὐαγγέλιον = evangelio, da qui Vangelo) che dà forza e attualità al messaggio cristiano contro l'oscurantismo fanatico e violento. Giuseppe, al contrario dei Vangeli canonici che di lui ci dicono poco, negli Apocrifi viene alla ribalta con sconcertante rilievo. Qui “i cronisti- scrive Geno Pampaloni nella prefazione a I Vangeli Apocrifi, ed. Einaudi- scavano senza pietà nella sua umanità scontrosa e umile...talvolta con una irriverenza che sembra maliziosa. Giuseppe qui diviene un personaggio sostanzialmente imbarazzato del proprio ruolo; che sta nella storia sacra, si direbbe, di contraggenio, con il muso lungo, quasi avesse coscienza del rischio che corre di apparirvi come una macchietta. Vorrebbe sottrarsi al matrimonio con Maria, e sino a che la colomba non si posa sul suo bastone cerca di non dare neppure nell'occhio. Affidatagli Maria, è tutto un susseguirsi di sane incredulità, di sospetti e di onesti pentimenti; la dimensione sua propria è quella laica, si trova a disagio tra i miracoli. (…) la sua natura è quella di un uomo tranquillo... antiesibizionista; … Ma il tocco più dissacratore … lo offre il Vangelo arabo siriaco, quando ce lo descrive mentre lavora, con Gesù … accanto a far miracoli, per rimediare con il tocco fatato delle sue mani alle misure sbagliate 'perché Giuseppe non era molto bravo nel mestiere di falegname '. Come un potente getto di scolorina, un inciso innocente stinge secoli di agiografia”. Tornato a casa, Giuseppe trova Maria incinta, che gli corre incontro a implorare comprensione e affetto: E lei volò fra le tue braccia Giuseppe, stupito, cerca una spiegazione, ma Maria non ha altro da dire che raccontare il sogno dopo il quale era rimasta incinta. Finisce qui Il ritorno di Giuseppe e comincia, senza soluzione di continuità, quasi a formare insieme un'unità episodica, Il sogno di Maria. "Nel Grembo umido, scuro del tempio, Nel sogno Maria è in compagnia dell'angelo e, come in un sogno, ci viene proposta una serie di immagini surreali, aeree, volanti, come in un quadro di Chagall. Poi l'angelo, in una sorta di annunciazione del concepimento, si esprime con le parole della citazione del Protovangelo di Giacomo che, come ne L'infanzia di Maria, non viene cantata nella canzone, ma solo trascritta sulla copertina dell'album. E' pure interessante osservare una sostanziale identità di espressione, a proposito del concepimento, tra il Vangelo canonico di Luca, I, 34- 35: 34 Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?».35Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. e il Protovangelo di Giacomo, XI, 2-3: 2 ... "Dovrò io concepire per opera del Signore Iddio vivente, e partorire poi come ogni donna partorisce?". 3 L'angelo del Signore, disse: "Non così, Maria! Ti coprirà, infatti, con la sua ombra, la potenza del Signore. Perciò l'essere santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio dell'Altissimo. Considerato come terminus ad quem, cioè la datazione più tarda possibile del Vangelo di Luca, il II sec., se si accoglie la collocazione del Protovangelo tra il 140-170, potrebbe essere stato Luca a rifarsi a Giacomo. E' chiaro che, se il Protovangelo è di epoca posteriore (V-VI sec.), la priorità spetta a Luca. Comunque, al di là di ogni questione cronologica, risulta chiaramente evidente come nella rappresentazione di De André i personaggi del Vangelo siano osservati da una prospettiva molto terrena e quindi perdano “un poco di sacralità -per usare le stesse parole dell'Autore- ma... a tutto vantaggio di una loro maggiore umanizzazione”. Nell'iconografia il soggetto dell'Annunciazione è stato declinato in diverse maniere a seconda della sensibilità stilistica dei pittori e del tempo in cui l'opera è stata prodotta. Ad esempio, nel quadro forse più famoso del genere, quello del Beato Angelico (1435, Madrid-Prado), il classico raggio di luce, emanazione divina dello spirito santo sotto forma di colomba, attraversa diagonalmente il dipinto sfiorando dall'alto le grandi ali dell'angelo e dirigendosi verso Maria, che è seduta con sulle ginocchia il piccolo libro che sta leggendo. Viceversa, nell'Annunciazione di Cortona, del 1430 ca., sempre dello stesso autore, uno dei primi esempi di “pala quadrata”, il dialogo tra l'arcangelo Gabriele con le stupende ali variopinte e la Vergine viene iscritto sulla tavola (Gabriele: Spiritus Sanctus superveniet in te. - Maria: Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundun verbum tuum -con lettere rovesciate da destra a sinistra - Gabriele: Virtus Altissimi obumbrabit tibi – con caratteri da sinistra a destra). In Jan Van Eyck (1435, Washington-National Gallery), pittore fiammingo di formazione tardo gotica, l'Annunciazione viene ambientata all'interno di una grande Chiesa con il raggio luminoso dello Spirito Santo che entra da sinistra sopra l'angelo verso Maria in atteggiamento di devozione. Contestualmente viene riportato il dialogo in corso tra i due protagonisti espresso tramite lettere dorate che escono dalla loro bocca (Angelo: Ave Gratia Plena – Maria: Ecce Ancilla Domini, con caratteri all'inverso per seguire la direzione della voce). Le figure di Maria e dell'Angelo sono dipinte con estrema ricchezza cromatica, imponenti e maestose nei loro panneggi voluminosi e pesanti. Assolutamente singolare è, invece, l' Annunciazione di Lorenzo Lotto (1527, Recanati- Pinacoteca comunale), dallo stile antiaulico e fortemente espressivo, un'autentica alternativa al classicismo cinquecentesco. Lotto sostituisce il tradizionale raggio di luce, con cui gli artisti indicavano la fecondazione di Maria da parte dello Spirito Santo, con l'immagine di Dio che si allunga con le mani verso Maria, colta in un moto di turbamento provocato dall'arrivo impetuoso dell'angelo che ha i capelli ancora mossi. Il realismo del quadro, abbastanza vicino all'espressività degli Apocrifi, si completa nel gatto che scappa con la schiena inarcata, cosa che potrebbe anche allegoricamente significare il male che fugge davanti alla rivelazione della potenza divina: nel Medioevo e nel Rinascimento il gatto, infatti, è un animale caricato di valori simbolici negativi e associato alle streghe e al demoni. Ma ritorniamo al testo di De André. Il sogno, a questo punto, comincia pian piano a svanire. Ormai “ridata al presente”, in Maria risuona il ricordo delle parole dell'angelo: “Lo chiameranno figlio di Dio”, indelebilmente “impresse nel ventre”.
Le ultime due strofe sono costruite sullo schema di quelle de Il ritorno di Giuseppe, di cui si riprende anche la musica. Le ultime parole del racconto di Maria si sciolgono nel pianto. Ha paura. Allora come oggi, è difficile portare avanti una gravidanza illegittima in un contesto patriarcale. E rimane “in attesa/ d'uno sguardo indulgente”. La comprensione e l'accettazione di Giuseppe si manifestano con un tenerissimo gesto di affetto, come di padre a figlia: le posa delicatamente le dita sull'orlo della fronte perché “i vecchi quando accarezzano/ hanno il timore di far troppo forte”. E la parola ormai sfinita E tu, piano, posati le dita Certo, un padre ci vuole. Un padre d'anagrafe, per permettere al figlio di Dio di essere registrato come uomo. Ma è duro mandare giù questa trovata dello Spirito Santo! E tuttavia la decisione di Giuseppe di tenere con sé Maria è immediata. Esprime fiducia piena e connota di autonomia decisionale il personaggio. Viceversa, nel Vangelo di Matteo (I, 20-24), Giuseppe si limita a eseguire la volontà divina espressa da un angelo apparsogli in sogno: 20 Ma dopo che ebbe riflettuto su queste cose, ecco, l’angelo di Geova gli apparve in sogno, dicendo: “Giuseppe, figlio di Davide, non aver timore di condurre a casa tua moglie Maria, poiché ciò che è stato generato in lei è dallo spirito santo.21Essa partorirà un figlio, e tu gli dovrai mettere nome Gesù, poiché egli salverà il suo popolo dai loro peccati”.22Tutto questo realmente avvenne affinché si adempisse ciò che era stato dichiarato da Geova per mezzo del suo profeta, dicendo:23 “Ecco, la vergine sarà incinta e partorirà un figlio, e gli metteranno nome Emmanuele”, che tradotto significa: “Con noi è Dio”.24 Quindi Giuseppe si svegliò dal sonno e fece come l’angelo di Geova gli aveva prescritto, conducendo a casa sua moglie.
Un pittore francese, George de La Tour, esponente del barocco e fortemente inflenzato dal Caravaggio, si è ispirato a questo passo di Matteo dipingendo L'Angelo appare a S. Giuseppe (1645, Nantes, Musée des Beaux-Arts). La caratteristica luce fioca di una onnipresente candela, con cui il pittore crea una luminosità preziosa e toni soffusi, individua il volto affaticato dell'anziano ed esalta i tratti minuti dell'angelo, che si rivela attraverso la grazia dei gesti. La prima parte de La Buona Novella si chiude con un inno alle madri, l'Ave Maria:
E te ne vai, Maria, fra l'altra gente Una preghiera che è una poesia per tutte le donne e per tutte le madri, accomunate nell'esaltazione a Maria, e portatrici, per il solo fatto di essere madri, di un significato immenso. De André ricolloca Maria fra gli esseri umani, novella Beatrice (Tanto gentile...) fatta oggetto di sguardi devoti dovunque ella passi, il viso illuminato nella stagione di essere madre, la stagione che stagioni non sente. Viene in mente una ben più famosa preghiera, quella che San Bernardo innalza a Maria nell'ultimo canto del Paradiso dantesco, dove, in un significativo ossimoro, la parola Madre viene associata a Vergine. Certamente qui ci muoviamo in una prospettiva diversa: tra i cori angelici e i beati della candida rosa, nell'empireo ciel lo sguardo di Dante è orientato verso l'alto in una progressione sublime, da Beatrice a Maria fino alla visio divinae essentiae, cioè la visione di Dio, l'amor che move il sole e l'altre stelle. In De Andrè invece, la prospettiva è assolutamente orizzontale, umana, tutta terrena: Maria è donna tra le donne, Ave Maria, adesso che sei donna,/ Ave alle donne come te, Maria,/ ... Femmine un giorno e poi madri per sempre. Tuttavia anche Dante esalta di Maria l'essere donna ( Donna se' tanto grande e tanto vali), per quanto nel sommo poeta si senta l'ascendenza latina del termine Donna da Domina = signora, padrona. Ma Maria è soprattutto madre,soccorritrice di tutti gli uomini ( La tua benignità non pur soccorre/ a chi domanda, ma molte fiate/ liberamente al dimandar precorre), consapevole del suo ruolo salvifico in quanto, concependo nel suo ventre Cristo (Nel ventre tuo si raccese l'amore), ha reso possibile la riconciliazione fra Dio e l'umanità dopo il peccato originale. Maria dunque è strettamente connessa con la nascita del sacro Bambino, e quindi col Natale che, oltre ad essere una festività religiosa e civile, riconosciuta dallo Stato italiano, è parte integrante della cultura cattolica compresa la sua bella tradizione del presepe. E, in tema di Vangeli apocrifi, è abbastanza significativo che la descrizione del luogo di nascita di Gesù in una grotta compaia per la prima volta (capp.18-19) proprio nel Protovangelo di Giacomo. [18, 1] Trovò quivi una grotta: …..(19,1)... nella grotta apparve una gran luce che gli occhi non potevano sopportare. Poco dopo quella luce andò dileguandosi fino a che apparve il bambino: venne e prese la poppa di Maria, sua madre. Questo particolare, non presente nei Vangeli canonici, godette in seguito di ampia diffusione nelle raffigurazioni artistiche della natività, fino a molti degli attuali presepi. Tale particolare non deve essere necessariamente visto come in antitesi con la diffusa tradizione popolare, che vuole la nascita di Gesù in una stalla : la conformazione orografica della Palestina è caratterizzata da numerose piccole grotte che venivano spesso usate come dispense o piccole stalle, in molti casi incorporate in costruzioni in muratura. C'è da dire, in conclusione e in riferimento alle cronache e alle polemiche, da diversi anni ormai ricorrenti in questo periodo, circa l'opportunità o meno di fare il presepe ed eseguire i canti natalizi nelle scuole o in altri luoghi pubblici, che il presepe, in quanto simbolo di pace e di fratellanza, non dovrebbe offendere la sensibilità di nessuno, sia di chi si professa ateo sia di chi professa qualsivoglia altra fede religiosa. E certamente noi cristiani non dovremmo mortificare la nostra di sensibilità, col pretesto -molte volte è un pretesto, figlio di un timoroso quieto vivere- di rispettare quella altrui! |