Il taccuino di Gigi 6. L'al di là di Montaigne |
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Prosa |
Giovedì 08 Dicembre 2016 21:39 |
Una spigolatura nell’opera di Montaigne, nei celebri e celebrati Essais, consente di soffermarsi proficuamente su osservazioni che forse senza lo stimolo della lettura di quell’opera non avremmo mai fatto. Di che cosa si tratta? È presto detto: Montaigne ci intrattiene sull’al di là. Detta così, la cosa può risultare poco attraente. Vediamo a distanza ravvicinata e intanto leggiamo un breve saggio (et pour cause!) :«Noi non siamo mai in noi, siamo sempre al di là. Il timore, il desiderio, la speranza ci lanciano verso l’avvenire e ci tolgono il sentimento e la considerazione di ciò che è per intrattenerci su ciò che sarà quando appunto noi non saremo più» (Essais, libro I, cap. III). L’al di là, o quello che così chiamiamo e che in tanti modi fantastici si configura, è un argomento che ci fa toccare, almeno toccare, la soglia di un mondo sconosciuto ed inquietante. Rassicuriamo subito il lettore, non di fare un salto in un oltremondo quale che sia ci parlano le pagine di Montaigne, ma di un di qua inquietante moderatamente, che è al di qua di ogni “invito” al mistero. In questo caso, infatti, il mistero siamo noi. Montaigne ci ricorda una situazione generale: noi siamo sempre al di là di noi stessi, continuamente protesi verso quel che sarà; affacciati, si può dire, ai balconi dell’avvenire. Il desiderio, la speranza, l’attesa del futuro sono tutti motivi presenti in quello che pensiamo o facciamo nelle nostre giornate. Siamo, si può dire, nell’ambito del sentimento di ciò che sarà, o potrà essere, in una tensione continua verso quel di là che, a seconda dei casi, potrà apparirci desiderabile oppure vagamente pauroso. C’è qualcosa in questo nostro atteggiamento o in questa nostra (istintiva?) scelta di ciò che corrode ogni progetto, ciò che spesso rende vano il nostro stesso agire e che dirotta la nostra attenzione verso un traguardo ingannevole. Troppo presi da quel di là che la mente ci presenta con l’urgenza della quotidianità, ci viene sottratta la possibilità di rivolgerci alla considerazione di paesaggi interiori più ampi, spogli di quell’urgenza che gli affanni della nostra giornata consueta ci fanno vedere come più importanti. La considerazione troppo esclusiva del di là, insinua Montaigne, ci impedisce di tenere nel debito conto ciò che al presente sfugge: l’avvenire. La considerazione di esso toglie i puntelli alla costruzione che stiamo realizzando e ce ne mostra la debolezza. L’avvenire è una costruzione dai puntelli malsicuri e rende futile ogni discorso su ciò che sarà quando noi non saremo più. Avrà ragione Montaigne di distoglierci da un’osservazione a vuoto dell’ al di là? |