Programma maggio 2022
Università Popolare “Aldo Vallone” Anno accademico 2021-2022 Programma di Maggio 2022 Mercoledì 4 maggio, ore 18:30, Sala Convegni dell’ex Monastero delle Clarisse: dott. Massimo Graziuso,... Leggi tutto...
Convocazione Assemblea dei Soci 22 aprile 2022
Convocazione Assemblea dei Soci   L’Assemblea dei Soci è convocata nella Sala Convegni dell’ex Monastero delle Clarisse venerdì 22 aprile alle ore 16,00 in prima convocazione e 17,00 in... Leggi tutto...
Programma Aprile 2022
Università Popolare “Aldo Vallone” Anno accademico 2021-2022 Programma di Aprile 2022 ●       Venerdì 1 aprile, ore 17:00, Officine di Placetelling - L’Università del Salento... Leggi tutto...
Immagine
Inaugurazione Anno accademico 2021-2022
Venerdì 22 ottobre alle ore 18:00, nell’ex Convento delle Clarisse in piazza Galluccio, avrà luogo l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Popolare “Aldo Vallone”:... Leggi tutto...
A rivederci. In presenza, Forse anche a distanza. Ma sempre attivi. E comunque uniti.
Il nostro Anno Accademico è finito, come sempre, con l'arrivo dell'estate, anche se il contemporaneo "sbiancamento" della nostra Regione e la possibilità, finalmente, di organizzare incontri in... Leggi tutto...
Home
Il taccuino di Gigi 8. Una voce, il silenzio PDF Stampa E-mail
Prosa
Sabato 31 Dicembre 2016 09:58

["Il Galatino" anno XLIX n. 21  del 16 dicembre 2016, p. 6]


Da qualche parte suonano ancora le campane? La domanda può apparire inutilmente provocatoria; bizzarra almeno. . Però una sua ragion d’essere ce l’ha, perché ancora, sia pure di rado, si leva qualche grido d’impazienza contro quello che viene ritenuto un disturbo della quiete pubblica, un’intromissione indebita in una “civiltà” che va cancellando i vecchiumi sentimentali e dando sempre maggiore evidenza ai ritrovati della più fremente modernità.

Le campane, insomma, sono condannate all’estinzione? A diventare oggetti d’antiquariato spicciolo, quello che si sciorina nei mercatini delle cose usate o vecchie. Si capisce che a nessuno verrà in mente di costruirsi un campanile (ora che son tempi duri per i campanili) per collocarvi l’eventuale “pezzo” acquisito: basterà tenerlo bene in esposizione e dare risposta, se sarà inevitabile, alle ingenue domande dei bambini figli di una società altamente tecnicizzata: “Che cos’è questo coso?”. “Una campana”. “Una campana? A che cosa serve?” “Una volta serviva a richiamare le gente; ora non serve più”. “Perché, la gente non c’è più?” “C’è, c’è… ma non ha bisogno di lasciarsi richiamare dalle campane”.

Parve poetico, in tempi remoti, il suono delle campane, quel suono argentino che si spandeva per i borghi, o quello ripercosso – tra le montagne – dall’eco delle valli (come nelle pagine del mistico-sentimentale Fogazzaro); o quello che persuadeva dolcemente a un sonno che ristorasse un dolore profondo o quello che colpiva nell’animo con la puntura della malinconia al morire d’un giorno (vedi Dante, Purgatorio, VIII 1). I fatti lieti o tristi della vita erano accompagnati dal suono delle campane: allegro per le circostanze liete (nascite, battesimi, matrimoni), grave per le circostanze tristi (morti e funerali).Uno dei più suggestivi concerti di campane è nel Pascoli dei Primi poemetti, in una composizione intitolata L’Angelus: «Sì: sonava lontana una campana, / ombra di romba; sì che un mal vestito / che beveva, si alzò dalla fontana, / e più non bevve, e scongiurò, di rito, / l’impazïente spirito. Via via / si sentì la campana di san Vito, / si sentì la campana di Badia /…». Se non piace il suono delle campane si potrà ammirare la perizia del verseggiare pascoliano e si potrà ripensare in qual modo una comunità leggeva la propria giornata. Un modo di comunicare che l’intera comunità riconosceva; e talvolta quella comunicazione attendeva come misura del tempo (“È suonato mattutino”, si diceva; o: “è suonata ventun’ora”) legata a momenti di vissuta religiosità. Ora i modi della comunicazione sono cambiati e la gente si è adattata ai modi nuovi ed è diventata impaziente, non si dica - per carità! – intollerante, verso quei rituali sonori oggi risultanti non solo antiquati ma inopportuni.

Quel suono, si dice, “disturba”. Disturba il sonno di coloro che tornano a casa a notte fonda dalla discoteca e che si sono sottoposti ad un suono il cui volume – decibel a iosa! –non sembra averli disturbati affatto. Sono solo le campane che disturbano. Disturbano, sembra, la coscienza “laica” di chi ne lega l’antica (o solo antiquata?) voce al loro uso religioso. Si ignora che le campane erano utilizzate anche per usi “civici” (segnali d’allarme in situazioni di calamità ed affini). Ma oggi, per gli usi “civici” - o, si presume, “civili” – bastano i cellulari. Si può fare tutto il rumore che si vuole con altri strumenti purché accettati dalla maggioranza. Una vecchia canzone giovanile proclamava allegramente: “Spacchiamoci le orecchie”. Altro che suadenti inviti al sonno da parte delle campane! Altro che squilla capace di agire dolcemente sul cuore per risvegliarvi una puntura di malinconia!

I nostri tempi accettano i decibel di troppo nei maxiconcerti, respingono le disturbatrici campane della tradizione e i loro “gridi argentini”. C’è una spiegazione per questo (posto che valga la pena di dedicare un attimo d’attenzione ad un argomento così lieve)? Una spiegazione c’è; tentiamo di indovinare.

Si trattasse solo dell’entità “rumore” delle campane, non ci sarebbe alcun pronunciamento. Tutti gli strumenti, comunque suonati, producono un suono che rompe il silenzio, modificano una situazione. Le campane non rompono solo il silenzio dell’ambiente; rompono, forse, un più duro silenzio della mente. Esse sono fatte per richiamare, per ricordare all’uomo qualcosa; e non è questione della quantità di decibel che si possano registrare.

Le campane sono una voce che disturba perché sono la voce di Uno che, per chi crede, chiama, o invita, o severamente rimprovera, o dolcemente parla a tutti noi… Sono molti, ormai, a non amare quella voce, a preferire il silenzio del sonno, la nicchia di una provvisoria sicurezza.

La falsa sicurezza del provvisorio, di un’illusione di pace.


Torna su