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OLTRE IL MARE PDF Stampa E-mail
Poesia
Domenica 24 Aprile 2011 11:02

A Fernando Onesimo

e Gaetano Mengoli

amici amici

lesti passeggeri

 

OLTRE IL MARE vuole essere un omaggio postumo a quei miei compagni che hanno concluso anzitempo la loro avventura terrena e con i quali ho condiviso mille emozioni, sia sullo Ionio che sull'Adriatico, in mezzo secolo di vita. E' una raccolta di racconti di pesca molto brevi, di aneddoti,di lettere che vedono il mare come destinatario, di versi.

 

La tecnica di pesca, cui si fa riferimento, è quella praticata dagli scogli con canna fissa, unica per le sensazioni che trasmette dal contatto diretto della preda: vedere il galleggiante partire a razzo, il pesce afferrato che tenta la fuga, essere obbligati ad assecondarlo, contando esclusivamente su sé stessi, o sentire le sue zuccate sorde attraverso la canna, è qualcosa di esaltante.

 

La raccolta è solo il compendio di tante 'avventure' che hanno come protagonista il mare di cui ho palpato i misteri, la quiete, visto le sue turbolenze in ore di luce come di buio; il mare, artefice di pensieri imbevuti d'assoluto, di memorie struggenti, di copiose catture ma anche di battute andate a vuoto.

Sono passati gli anni come niente e la dura legge del tempo trasforma questi racconti in favole, in qualcosa di fantasioso o semmai di verosimile; al contrario, tutto tutto è accaduto davvero, e la mia memoria senza tarli fa sì ch'io riveda ancora oggi, luoghi, gesti, quel gruppo solitario nella notte,

“...legno sanza vele e sanza governo, portato a diversi porti e foci e liti dal vento...” (Dante – Convivio – III, 5.).

Spero che anche il lettore 'visiti' i luoghi tracciati, li 'tocchi', percepisca le mie sensazioni, dacché la parola scritta ha il potere di far vedere paesaggi, figure, di far sentire voci: è cinema naturale della mente.

 

L'ESTATE, IL MARE

Ambedue amano il mare, con la differenza che lei ne avverte il richiamo in ogni stagione dell'anno e lui no. Il mare rappresenta il 'suo tutto' da settembre-ottobre sino alla fine dell'inverno. Pratica la pesca con maestria e forse è questo il motivo di cotanta attrazione, o forse no. Sa che il mare lo rasserena, lo rigenera, lo rapisce e lo ispira: il suo mondo è lì, dove il tempo sembra scorrere lento. D'estate no, manco a parlarne: troppa gente, troppo caldo, e quei rumori... il suo respiro diventerebbe nevrotico.

“Estate è sinonimo di sole, di colori, di gente e di lunghe nuotate; come non amare tutto questo? E che dire del mare in autunno, del suo profumo assolutamente schietto, dei tramonti che tolgono il respiro? Sei un disadattato”, ripete lei, come una litania. Lui non rilancia e per evitare che la discussione si accenda proprio oggi, vigilia di ferragosto, toglie l'auto dal viale e sale verso il centro. Hanno pranzato da soli, come ieri e ieri l'altro.

La città è ancora assolata e deserta; un'essenza di pino lo inebria e lo esalta mentre, seduto su una panca, in piazza Alighieri, pensa. Manca un quarto alle sedici e non si vede traccia umana. A poca distanza, cani assopiti, indifferenti: immagine che offende il decoro della città; lo ha anche denunciato, con velata ironia, ma non lo hanno capito. Non ha mai avuto un buon rapporto con l'estate, col sole che brucia forte, col baccano che si registra in ogni dove; e poi, il traffico caotico, gli ingorghi, i parcheggi introvabili gli farebbero salire l'adrenalina. Anche la musica assordante per tutta la notte, le mille sagre ove si gozzoviglia lasciando sul campo di tutto e di più, non gli appartengono.

Come si fa a ritemprare la mente e il corpo se l'una e l'altro vengono sottoposti a prova da stress? - si chiede - e pensa alle tante patologie di chi torna in ufficio, finite le vacanze. E' certo che non farà mai parte di quell'esercito soggiogato dalle frenesie estive: convincimento che gli procura una ricarica di endorfine.

Sono passate quasi due ore da quando si gode il silenzio della città inanimata; uno stato di grazia che sta per finire: qualcuno, infatti, già rientra dal mare, di corsa, come morso dalla tarantola; sempre di corsa, tutti di corsa. Decide di rimettersi in auto, ma non ha mete; sa, comunque, di non voler rientrare a casa. Si sorprende d'aver imboccato il viale del cimitero e gli pare d'obbligo far visita ai suoi cari. E qui scorrono vacanze serene, ancorché nella miseria. Dio dio, com'era bello quel tempo! Sulla tomba di due amici (Fernando e Gaetano) congedatisi prematuramente dal mondo e con i quali ha condiviso tante ore di pesca alle occhiate, la commozione lo assale. In questo luogo di pace eterna per antonomasia,  la morte ostenta da sempre la sua alterigia e fa riflettere.

Giorgia, rientrata il 28 di luglio, passa più tempo al mare o comunque fuori che non in casa.

- Sono in vacanza - replica tutte le volte che glielo si fa notare. Anche Francesco è in vacanza: vita goliardica trasferita in provincia. Pensava che l'estate ricompattasse la famiglia, come nelle occasioni delle feste comandate, ma deve ammettere che non è così: dell'una e dell'altro è cambiato l'orologio biologico, sono cambiate le abitudini. L'orologio biologico! Non hanno fame quando si dovrebbe aver fame, né sonno quando si dovrebbe andare a letto. Constata, con amarezza, che le sue abitudini non sono consone allo stile di vita delle nuove generazioni. “L'armonia sta nella disarmonia tra vecchio e nuovo”, gli è stato detto più volte, ma lui non è mai riuscito a coglierne il senso. Gli è difficile metabolizzare il cambiamento e l'estate continua a non piacergli.

Oggi, vigilia di ferragosto, ha nostalgia di nuvole; qualcuna, nei giorni scorsi, è volata alta sul cielo di Galatina senza fermarsi e la terra è sempre più assetata. Decide di rientrare a casa. Il viale è ancora caldo di sole e le previsioni non danno in esaurimento la bolla africana che da giorni attanaglia il Salento, Prima di mettersi in auto, due oleandri sitibondi catturano la sua attenzione; vi si avvicina: fiori smorti, ma ancora odorosi. Ricorda d'aver letto, da ragazzo, che quello dell'oleandro è il profumo più dolce e più triste del mondo, è il profumo dell'estate che muore. Perché mai 'triste'?, continua a chiedersi tutte le volte che gli torna questa frase; meglio 'più dolce e gioioso'. Gioioso.

A casa, troverà forse la famiglia al completo. Tra una doccia e l'altra, sentirà i ragazzi: “a mezzanotte o mezzanotte e mezza? A Otranto o si va a Gallipoli?”. Evidente che ogni loro programma  sarà 'consumato' fuori. Ancora una volta faranno le ore piccole e lui sa di già che lo aspetta un sonno leggero sino al rientro dell'una e dell'altro. Maledizione!

A casa, la situazione è quella paventata. Maria ricomincia con la solita tiritera: “il mondo è cambiato, le abitudini dei giovani sono mutate, anziché fartene una ragione, ti ostini nella tua insofferenza verso tutto e tutti; sei un disadattato”. Lui la guarda obliquo: “ffanculo, le spara a bruciapelo”.

 

Caro mare,

immagino sarabande sulle tue rive, orde come sciami d'api, la cui parola d'ordine è: 'debordare', quando terapeutico sarebbe fermarsi per prendere coscienza della stagione che viviamo, nera come la notte, per ridefinire il nostro vivere.

E' tua l'estate, piena di ebbrezze, trasgressiva e godereccia. Non mi vedrai dalle tue parti né di sera, né di giorno, meno che mai di notte; di notte si beve, ci si sballa, si recidono vite, come se questo ne fosse l'unico senso. Intanto, l'orologio del tempo batte implacabile, confinando nell'oblio vacuità e tributi di sangue. Passerà l'estate: sento già clamori ultimi, residui di 'giungla', scorie. Nel frattempo, ricarico le batterie per i mesi a venire. L'aria frizzante che giungerà da Nord, mi vedrà sulle tue rive con l'onda cuprea del tramonto o coi primi chiarori. Ora l'accidia mi possiede e il caldo mi fiacca (soffro di ipotensione arteriosa); a fatica leggo qualcosa sull'amaca in fondo al viale. Resto qui, autorecluso, attendo.

Ho fatto pochi bagni nei primi di giugno, poi ho smesso. Col passare degli anni sono diventato insofferente ai flussi erranti, ai 'formicai', ma rimani il mio 'genius loci' e, seppure a distanza, intreccio discorsi con te, come adesso.

Nei mesi estivi la mia città si spopola in alcune ore del giorno, i rumori si attenuano sino a scomparire del tutto; solo il gruppo campanario che ho di fronte, all'improvviso trafigge l'aria impigrita e nessuno si avvede. Quanto a me, prediligo il tuo rumore, mare, quando forze immani sprigioni dal tuo alvo, o quello di alcioni in amore.

Giorni fa, un grecale invitante mi ha spinto fuori e, a piedi, ho raggiunto il centro storico, già avvolto dalle tenebre. Vi ero stato qualche anno prima con  un amico pescarese, rimasto strabiliato dalle tipologie abitative dei nostri avi: finestrelle, stradine, vicoli, corti; scorci di straordinaria bellezza. Qua e là, palazzi gentilizi a marcare 'differenze'. Strabiliato, mare, ma anche stupefatto al cospetto di basolati....bituminati, e coprì gli sconosciuti autori di tale obbrobrio con prolungati vituperi.

Altra notizia, ma non ti agitare. Approfittando dell'esodo agostano, ho monitorato le vie d'entrata alla mia città. Per chi vi giunge da Est, costeggiando il campo sportivo, ha davanti a sé un agglomerato senza nome, senza un  'benvenuti a...', senza un segnale stradale che indichi la velocità da tenere nel centro urbano, sicchè le auto, di sera e di notte, vi sfrecciano come bolidi. Di più? Su via Gallipoli, angolo via Molise, è lampante la mancanza d'un divieto di sosta, ma è vano parlare, vano e frustrante. Verrebbe da pensare, senza almanaccare tanto, che certuni siano orbi come talpe, sordi e indolenti. In tempi non sospetti, tutti bravi a vendere fumo, parole melliflue, fanfaluche. Forse avevi ragione, mare: sono dei quaquaraquà e basta, fatte rare eccezioni.

Di sera, nel cielo blu cobalto, due aerei di linea s'incrociano nello stesso punto e allo stesso orario. E' il momento in cui invidio per davvero chi solca i cieli: non ho mai vinto la paura di volare. 'Volo' in altro modo, tu lo sai, tra speranze più perdute che ritrovate.

Di tanto in tanto, viene a trovarmi un amico cui mi legano affinità elettive. E' tipo fuori dal coro, caustico, a modo suo pugnace. Chiacchieriamo, sotto il pergolato. L'ultima volta, fiume in piena, non ha lesinato stilettate verso chi sgomita per apparire, verso gli esegeti prezzolati. Ho concordato pienamente.

Siamo al giro di boa, mare. Un altro anno della mia vita se ne va con l'estate. Anche Aba ha solcato l'azzurro verso l'Ellade con  la piccola Elene. Tutto scorre veloce di sola andata. Solo le attese restano.

 

Caro mare,

che inverno lungo e piovoso, quest'anno! Giove Pluvio mi ha relegato in casa e, a malincuore, ti ho disertato. Annata magra, quindi, con poche occhiate nel periodo pre-natalizio, qualche spigola e poi burrasche, una dopo l'altra. Intanto gli anni passano (già sessantotto) e le stagioni. Spero che l'estate appena iniziata sia diversa dalle precedenti, nel senso che non ci siano tributi di sangue sulle strade e che la bolla africana non invada il Salento.

Lo stare in casa mi ha innervosito, abituato come sono a vivere le tue rive nei mesi invernali. L'unico aspetto positivo è che mi sono dedicato alla lettura come non mai, riscoprendone la bellezza. Nelle giornate plumbee e piovose, libri e quotidiani sono stati miei compagni. Quante notizie, mare, che non fanno più notizia! Mi stupirei se qualcuno si stupisse ancora del bubbone della corruzione, mai debellato, e delle capacità di corruttela di tanti amministratori della cosa pubblica e non solo. Parafrasando, verrebbe da dire: chi non ha scheletri nell'armadio...Chissà cosa direbbe ora (della politica) il buon Silone o chi mai barattò integrità morale e fede, 'pagata poi a carcere e confino'. O tempora, o mores! E' fuor di dubbio che ci siano lezzi di 'fogna' nel Paese e tuttavia non ci s'indigna. I giovani non hanno l'ebbra vitalità di quelli del sessantotto, ma voce afona; all'orizzonte non c'è vento di fronda né tupamari. Di sera, li osservo: a folate verso pub e rosticcerie, chè mangiar fuori, tracannando 'birrozze', è moda invalsa. Non vedono, mare, che siamo sul ciglio d'un dirupo. Dannazione!

Dei libri letti, due mi hanno deluso. Romanzo il primo, di poesia l'altro. Prosa eccessivamente aggettivata nel romanzo, prolissa, ripetitiva, satura di abbellimenti inutili (in gergo: 'frascherie letterarie'). Nondimeno, la critica ne ha esaltato il linguaggio, paragonandolo a quello di un poema.

Oh, la critica, i critici! Personalmente, ho la convinzione che non sempre stili innovativi portino 'qualità'. Decisamente prosastico l'altro, monocorde, senza musicalità, senza lirismo. Quando si dice: de gustibus!

Son finite da poco le elezioni provinciali: un pullulare di comitati elettorali, gigantografie e bandiere. Stesso clichè di altre volte, mare, stesse schermaglie: aggregazioni che si fondono e si scindono con disinvoltura, comportamenti levantini, voltafaccia come canguri impazziti; e poi, i questuanti voti, i soliti manichini al seguito.

Teo ha un diavolo per capello, a dirla tutta è incacchiato nero. Attivista un tempo, ora si tiene alla larga ed ha parole al vetriolo per chi calca il palcoscenico della vita politica, 'accozzaglia dalle storture mentali' (sic.). Lo seguo, abituato come sono a dare ascolto ad ogni voce. Ritiene vilipesa la sua dignità e snocciola una serie di fatti-misfatti come grani d'un rosario: il referendum del '90 (finanziamento pubblico ai partiti: il popolo, attraverso il voto, lo abroga, ma il Palazzo lo reintroduce sotto altre spoglie, con costi quintuplicati); ex Presidenti del Consiglio, ora opinionisti in TV, che conservano studio e scorta; aumento delle prebende parlamentari ogni 18 mesi, a prescindere dallo stato di 'salute' del Paese; vitalizi maturati dopo 36 mesi di mandato; assistenza sanitaria gratis, viaggi gratis, tutto gratis, gratis, Si vede lontano mille miglia che Teo ha il cuore gonfio e altre parti del corpo... rotte. Non ha il solito parlare forbito: intercala, tra un'esternazione e l'altra, qualche bestemmia e bordate di sangue verso chi ritiene indegno di rappresentarlo. Non ha stemperato gli antichi livori. Quest'Italia dei privilegi conclamati, dei vizi morali ritenuti prassi, lo ha letteralmente inviperito. Quanti pensieri condivisi, mare!

 

Caro mare,

ti parlo del rumore e del silenzio. Non voglio fare una disamina sulle diverse categorie del rumore, né approfondire gli usi che se ne fanno; tanto meno voglio difendere il silenzio in modo preconcetto. Dico solo che da noi manca la 'politica del silenzio'; v'è, piuttosto, l'esaltazione del suo opposto, quando una giusta mediazione tra l'uno e l'altro assicurerebbe un'esistenza meno stressata.

“Per chi è molto solo – sosteneva Nietzsche – il rumore è una consolazione”. Nel nostro tempo il rumore, prevalentemente coatto, è niente affatto consolatorio. Basti pensare a quel sistema invalso, tra i venditori ambulanti, di sparare a mille il volume per propagandare le varie mercanzie e agli MB339CD che sfrecciano in orari improponibili, col turbo temporizzato sulle nostre teste. Anche la Chiesa non è da meno: la sveglia mattutina arriva puntuale allo scampanio amplificato della prima messa che irrompe e ti lascia intronato. C'è, poi, quello del mezzodì, riconducibile alla battaglia di Lepanto (1571) e non a funzioni liturgiche; le campane a morto che arrivano alla mente come proiettili acustici e la devastano. O, la Chiesa, le Chiese!  Che iattura, mare, abitarvi accanto! Eppure, il silenzio è stato elemento cardine della pratica religiosa; si pensi ai quaccheri e ai trappisti per comprendere l'uso che se n'è fatto nella cristianità. E' tema ricorrente in tutta la storia letteraria, nella poesia, nella narrativa, nella drammaturgia. Il silenzio per riflettere e meditare, per pregare o illudersi di avvicinarsi a sfere elette; come fonte di ispirazione, come 'nutrimento'. Molti poeti hanno identificato il silenzio con il divino e Gerard  Manley Hopkins è uno di questi: Nulla formate, labbra; siate leggiadre-mute:/è il suggello, il coprifuoco giunto/ da dove tutte le rese vengono,/che solo vi fa eloquenti. Così scrive in Abito di perfezione. E John Keats: Dolci le udite melodie, più dolci/le non udite; dunque voi, soavi/flauti, all'orecchio no, più care all'anima/suonate melodie prive di suono. Belle, vero?

Addio, mare, torno ad annaspare tra ideali frantumati e indifferenze.

 

OLTRE IL MARE

 

Quante ore sul mare!

Io e il mare, al buio

o a luce fatta,

in una specie di dipendenza

cui è difficile negarsi; così

lo vivo, lo scruto, e se pure

sciaborda lieve lieve,

il mio sguardo di pescatore

corroso come rudere,

anticipa i suoi mutamenti

e correnti e maree sa cogliere.

Oh, gli anni delle forze integre

di questa mia vita foranea!

A passo incerto vado ansimando

per quei declivi

ove prima correvo

e mentre il mare dorme

o mareggia, gli apro le solitudini

della mia stagione che passa,

vibro ad ogni cattura,

indi mi esalto: scema così la pena

delle umane finzioni, del sospetto

che nulla possa davvero mutare;

ripassa il mio tempo: volti amati

che la morte mi ha allontanato.

C'è pure un fiorire di versi

al suo cospetto

ed è un andare altrove.

Oh, il mare! Dei segreti non so:

misterioso il suo alvo,

ma fascinoso rimane al mio corpo

invecchiato sulle sue rive,

alla mia mente che s'affranca

da questi tempi incerti

e va randagia

oltre il mare, oltre, oltre.

 

 

APPENA  APPENA

 

Dov'è quel trio

che nel pieno della notte

andava “...legno sanza vele

e sanza governo

portato a diversi porti

e foci e liti...?

Ho perso sodali cari

e penso: sulle tue rive, mare,

ove non pochi mancano,

darti l'estremo vale

e poi raggiungerli

- direbbe il cuore -

in un altrove ignoto.

Ma dove ogni approdo

m'è facile ed echi

m'incalzano ed anni,

vedo appena l'orizzonte,

appena appena,

e nulla d'altro.

 

 

 

ELEGGO IL  MARE

 

… e masnade e ciarle

e vie melmose

ove figure muffe sguazzano;

e gonzi avari d'impeti,

codardi e ciechi,

e poi viltà e parvenze:

tutto mi ripugna, indi lascio,

eleggo il mare a mio confino

e là finisco.

Sul mare ho vele tese

e vi campeggia il tuo volto,

mia compagna,

e tu mi sei rimpianto.

Verrà – urlavi – quel flutto

che turbina e travolge,

verrà un giorno in cui...

un colpo d'ala,,,

(sognavi e davi il tuo tributo)

ma sento che non reggo agli anni,

già sette volte dieci.

Chissà.

Sonorità di mare

e tu passata ad altra vita,

anacoreta per necessità

a voi protendo, arreso.

 

 

SUL MARE

 

Ti condurrei ove palpo

l'umana finitudine

e tutto vibra;

là, teso mi perdo

e non v'è picco, né specola,

per mirare l'universo

che miro.

O, misteri dell'abisso,

e tu, mente, che rimani desta!

Scorrono equità represse,

indifferenze, questa vita.

Ebbene, ti condurrei sul mare

ove m'appare il tuo volto

nel frangersi dell'onda

e poi vanisce.

 

 

LASCIATEMI  QUI, SUL  MARE

 

Ho sfidato il vento

e i giorni della merla,

tuttora apro sentieri sulla costa

e vi sverno.

Lasciatemi qui, sul mare,

ove i profumi della notte

mi stordiscono

e il godimento è pieno.

Del mio paese, a quest'ora

la bruma bagna il selciato,

un roteare d'auto

ammorba piazza Alighieri

e fanciulle svelte

come gazzelle, vanno.

Chissà tu, adesso.

 

 

MARINA  DI  ANDRANO

 

Irrompe un fremito

nella bonaccia

di questa mia vita:

marina di Andrano,

quel giorno,

la voglia di debordare

sul ciglio del mare.

Aba, Aba, quante fughe

snoda il tuo ricordo!

 

 

TEMPO CORSARO

 

Mare agitato,

la costa scompare

e riaffiora

come pensiero fluttuante.

Cammino, evocando

il suo volto,

questuo la sua presenza:

può succedere - dico -

l'incontro può ripetersi.

Vanità dell'essere:

pure le ore

hanno luce breve

nell'ottobre morente.

 

 

A MARINA SERRA

 

Due corpi,

il mare,

quella torre:

amabile visione

che trattengo

per un attimo,

allucinato.

Una tàccola va

per costoni imbruniti,

come me sola.

 

 

ECHI FUNESTI

 

Oltre sant'Emiliano

il cielo sbadiglia e segna

i confini della notte, mentre

ho lenze tra le mani

e un rimasuglio di luna

vaga a ponente.

Al di là del mare,

dal ginepraio dei Balcani

mi giungono echi

rossi di sangue,

ché i morti, forse,

i morti della barbarie

non hanno lasciato segni

o moniti.

 

 

GUETTO  DORATO

 

Mare e mattutine guazze

e selve e sterpi

e coste desolate;

qui scorre il mio tempo

tra immagini maliose

e pensieri d'assoluto.

Venite a vedere

il mio ghetto dorato:

- non è vile cedimento -

incarna il dissenso,

il rifiuto al baratto

- dico baratto -

sino alla morte.

 

 

UOMO  LIBERO

 

Oggi, come sempre

o quasi sempre,

il mare mi ha spalancato

le sue finestre

e ho girovagato sulla costa;

sono stato aria e vento,

un suono, una brezza:

uomo libero.

Ho il cuore sazio. Mi basta.

 

 

CALMA PIATTA

 

Corpi divorati dalla noia

non hanno onde

da cavalcare, né vele.

E' calma piatta, qui,

è cecità: un venir meno

alle urgenze.

Un chiodo fisso?:

se si alza il vento

che sia tornado,

tempesta e assalto

a smuovere coscienze impigrite.

Parafrasando Joplin:

ho amato mille posti di mare,

ma sempre torno

tra odiose iniquità

e voli obliqui di nibbio.

 

 

PENSIERI SUL MARE

 

Refoli

lungo una riva

e l'alba che s'accende

in un battibaleno.

Ho lasciato frastuoni

e qui mi sento a casa,

tra sciabordii

e pinastri piegati.

Bello illuminarsi

nel riverbero dell'onda,

immaginare i suoi segreti:

lamenti travalicano gli abissi,

ne sento l'eco.

Quanti aneliti negati

su questo mare,

quante vite recise!

E' d'ocra l'onda vespertina.

 

 

UN FARO BIANCO

 

Come dimora... un faro,

un faro bianco che odori

di salso e di mare;

avulso dall'agonia del vivere

tra grida insulse

di questo Paese amato

e non amato,

L'Universo:

unica mia tensione.

Di quaggiù ho provato

amore e dolore quanto basta.

Sospeso, di fronte al mare

e onde barocche,

declamerei l'ultimo verso.

 

 

SUL MARE

 

Sul mare

è un andare altrove,

una ragione in più

d'esistere, d'essere

onda tra onde,

luce che viene all'alba

senza moto apparente

o quella che soccombe

e si trascina ogni speranza

di riconciliazione.

Così salpo, tra delirio

e ragione,

al di là d'ogni miseria

e l'andare si fa eloquio puro.


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