UN LIBRO DEL POETA GRECO NICOS BLETAS DUCARIS “RONDINI DELL’ORIENTE. DEDICATO A EDUARDO DE FILIPPO” |
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Storia e Cultura Moderna |
Domenica 28 Agosto 2011 12:11 |
Sergio Vuskovic era amico di Nicos Bletas Ducaris e questa sua amicizia per il poeta traspare dalla prefazione al libro, dove ricorda il periodo in cui fece la prima conoscenza con Nicos, a Bologna, dov’era arrivato con un biglietto d’esilio della giunta puchista del dittatore Pinochet. Scrive: «Quando giunsi con mia moglie Nenita e mia figlia Dani a Bologna e la città ci aprì le sue porte e i suoi cuori, una delle più gradevoli sorprese fu quella di incontrare l’esiliato greco Nicos Bletas Ducaris, sua moglie Katia e i suoi figli Giulia e Teo. Egli faceva parte di un consistente gruppo di uomini, di donne e di giovani greci in esilio a Bologna a causa del golpe dei colonnelli effettuato nel 1967. Nicos era stato catturato fra i primi, era stato torturato e fucilato; un sacerdote ortodosso lo estrasse dal carro con cui si stavano trasportando i cadaveri per sotterrarli, quando si accorse che lentamente Nicos apriva un occhio. E per questo motivo che io ho potuto conoscerlo quando arrivai a Bologna tra il maggio e il giugno del 1976, dopo che ero stato detenuto per tre anni nei lager della dittatura di Pinochet». Come si vede, purtroppo, si tratta di un ricordo non bello, impregnato di dolore per vicende legate a soprusi e negazioni della libertà tipiche dei regimi dittatoriali fascisti, eppure è ad esso che la mente del filosofo cileno corre per ricordare l’amico poeta greco. È vero, nella sua prefazione, ricorda pure altri momenti che lo videro gioire con Nicos nella sua amata Grecia, ma quando conclude lo fa con un momento di alta tensione culturale. Scrive: «nel 1998, la facoltà umanistica dell’Università di Playa Ancha pubblicò un mio libro intitolato “Breviario di Platone”, in un capitolo del quale, “La motivazione personale”, riferendomi alla Grecia, scrivo: per me “Grecia significa il mio amico poeta Nicos Bletas Ducaris, che spesso mi invitò nella sua casa di Atene e di Corinto, l’ultimo porto in cui, in un’occasione indimenticabile, celebrammo assieme giorni più belli». Lì Vuskovic incontrò anche «il drammaturgo Filipas Gueladópulos che [gli] donò la sua più importante opera, riprodotta anche per il cinema e per la televisione: “Maria Dimadí “. Filipas era il migliore e il più vecchio amico di Nicos e quando morì, Bletas era lì per tenere l’orazione funebre alle sue esequie. Fu allora che Nicos, mentre che parlava, morì» (p. 7). Da parte sua, nell’introduzione, Pierpaolo De Giorgi ricorda l’amico poeta con affetto quasi filiale, ed ha occasione pure di ricordare gli altri amici del poeta greco, tra i quali Antonio Anchora, Isabella Ostacian Bernardini, Salvatore Polo. Scrive: «Sul finire degli anni Ottanta, Nicos Bletas Ducaris ha cominciato a dedicarsi alla lingua e alla cultura greca della tradizione di Corigliano d’Otranto e degli altri paesi della Grecìa Salentina. Tra me e Nikos si è creata subito una particolare affinità, fondata su non pochi centri di interesse comuni ad entrambi, come la poesia, la musica, le tradizioni popolari e i depositi sapienziali della civiltà greca e magnogreca. È nato così un forte vincolo di amicizia e collaborazione» (p. 5). De Giorgi spiega poi l’origine del poema inedito di Nicos e lo fa così: «Nel 1994, poco tempo prima della sua morte inaspettata e improvvisa, avvenuta nel 1995, ho ricevuto direttamente dalle sue mai il dattiloscritto inedito “Rondini dell’Oriente”, terminato da poco tempo. Dedicato all’amico Eduardo De Filippo, “Rondini dell’Oriente” è un bellissimo poema aperto al progetto di un mondo migliore e ad un’entusiastica valorizzazione dell’autentica cultura del
Di Nicos Bletas Ducaris pubblichiamo un suo testo di non più facile reperimento PERDERE LA LIBERTA’ È SEMPRE UNA GRANDE DISGRAZIA (Presentazione alla prima edizione del libro “Dawson” di Sergio Vuskovi Rojo) di Nikos Bletas Ducaris Caro Sergio, Perdere la libertà è la più grande disgrazia che possa capitare a un uomo e soprattutto a una persona che ha lottato, ha sofferto, ha combattuto, insieme ai suoi compagni, per fare di questa libertà elemento fondamentale ed indispensabile per la costruzione della storia e della vita degli uomini, del suo popolo, di tutto il grande Mondo. Tu lo sai bene perché ti sei trovato in queste situazioni ed io comprendo perfettamente la tua amarezza perché non ne sono estraneo. Ecco perché vorrei che questa mia testimonianza fosse quella di un partigiano, di un esule politico, di un ex prigioniero delle galere e dei campi di concentramento fascisti, di un uomo semplice che, come te e come tanti altri milioni di combattenti, ha scelto, di sua spontanea volontà, e ha cercato il suo posto nelle file di quella immensa brigata – immensa come tutto la nostra terra – che ogni giorno, senza tregua, porta avanti il discorso che si può definire battaglia per la dignità, lotta per la libertà. Non desidererei, in altre parole, essere per te solo l'amico, il fratello che ti stia vicino, ma anche il compagno che cammina al tuo fianco, al fianco dei tuoi connazionali patrioti cileni, al fianco di ogni combattente per arrivare al lucido oriente di domani. E noi tutti siamo sicuri che arriveremo – presto o tardi – perché sappiamo bene che «cammino e notte portano alba e vittoria». Il racconto della tua prigionia nel campo di concentramento di Pinochet all'isola di Dawson lo hai intitolato appunto “Dawson”. Un altro lo potrebbe chiamare “Dachau”, un altro “Makronissos”, un altro “Risiera”, un altro gli potrebbe dare un diverso nome. E sarebbe la stessa cose, perché – vedi – tutti i campi di sterminio fascisti sono uguali: anticamera di morte sicura. C'è soltanto una piccola, insignificante differenza che sta nell'origine; nella nazionalità dei detenuti destinati al massacro e dei loro boia. In Cile, nella Spagna di Franco, nell'Italia di Mussolini, nella Grecia dei dittatori, nella Germania nazista, nell'Indonesia dei generali, nell'Iran dello Scià, nel Portogallo di Salazar, nel Sud Africa dell'apartheid, dappertutto, le prigioni e i campi di concentramento fascisti hanno avuto e hanno le stesse caratteristiche, usano gli stessi argomenti, hanno la stessa finalità: lacerazione della dignità umana, morte. Ciò succede perché il fascismo non ha moralità, né base ideologica per affrontare i suoi avversari con la parola, con il discorso, con la dialettica, con l'argomentazione e, quindi, ricorre alla menzogna, alla calunnia, al delitto, all'assassinio, all'eccidio di massa. Tu sei riuscito, nel tuo “Dawson” ad illustrare perfettamente queste “qualità” fasciste e dall'altra parte a rendere la grandezza d'animo e di pensiero dei democratici cileni, nostri cari compagni, ostaggi della giunta militare. Basta portare solo l'esempio di quel meschino del tenente Jaime Weidenlaufen che non si stancava di ripetere che «il Cile non ha bisogno di intellettuali, necessita di soldati», e girava sempre con il mitra con mirino telescopico a raggi ultravioletti che gli consentiva di vedere nell'oscurità. Il divertimento di quel carnefice – come tu racconti – era di fare dei prigionieri «bersaglio» durante la notte. I suoi commilitoni affermavano modestamente parlando di lui: «Ah, quel matto!». (A proposito di questo “matto” individuo, non so perché mi viene in mente il nome del “matto” tenente Francisco Franco, massacratore dei patrioti marocchini e quello del “matto” tenente Dimitris Ioannidis, torturatore capo dei democratici greci a Makronissos. Questi due tenenti, a cui i loro camerati e i loro superiori davano del “matto”, un giorno divennero, l'uno dittatore di Spagna e l'altro dittatore di Grecia). E non posso non ricordare le sarcastiche ed agghiaccianti parole che uscivano dal becco da carogna del “matto” tenente Weidenlaufen mentre mirava con freddezza Puchito: «Prigioniero, se devo ucciderti lo farò con piacere». E dall'altra parte la risposta ferma e calma di Luis Corvalàn alle minacce dei suoi torturatori: «Amo la vita, ma non temo la morte, se fosse necessario morire per la mia causa... Sono fermamente convinto che in fondo a questo tunnel oscuro ritroveremo la nostra libertà». Due diverse persone che rappresentano due mondi; due mondi però completamente differenti: di là l'ignoranza, l'odio per la vita; di qua uomini orgogliosi, pieni di convinzione. Le squadracce di Mussolini bruciavano i libri nelle piazze e assassinavano Piero Gobetti nel buio. Le Ss di Hitler perseguitavano e davano la caccia ad Einstein, e Bertold Brecht e ad altri uomini della scienza e della cultura. Gli aguzzini dei colonnelli greci ammazzavano Tsaruchàs e Mandilaras mentre Patakòs, pieno di odio, dichiarava che «tutti gli intellettuali devono essere... bastonati». I gorilla cileni uccidono Victor Jara e Josè Toha e nello stesso tempo affermano che «il Cile non ha bisogno di intellettuali e faremo di loro dei soldati “costi quel che costi”». Sì! Fascismo vuol dire ignoranza (altra sua “qualità”), e ancora, significa che il fascismo non ha luogo di nascita e residenza fissa. Hai potuto presentare con molta abilità, chiarezza, semplicità e naturalezza avvenimenti che riguardano pure la lotta unitaria, in generale, del popolo cileno. Cattolici o comunisti, protestanti o massoni, radicali o socialisti, socialdemocratici o cristiani hanno subito le stesse torture di Dawson e sono impegnati nella stessa lotta in tutto il paese contro la dittatura militare fascista in questo momento, come dici nel tuo racconto. (Scusami se uso il termine “racconto” per qualificare il tuo “Dawson”. Lo so, non è la parola giusta. Ciò che tu testimoni è la vera e propria tragedia di gente cui il solo “delitto” è stato l'amore per la patria, per il popolo. Certo, c'è anche questo: i nostri avversari sostengono – che ironia! – che tutto quello che fanno, lo fanno in nome della patria – o addirittura in nome dell'umanità – e della sua salvezza; e che noi siamo i nemici e i distruttori di questi valori). La tranquillità davanti alla morte, la fermezza per la nostra causa, la convinzione per il futuro sorridente del bambini del tuo paese, di tutti i popoli, si rispecchiano in tutto il testo dall'inizio alla fine, soprattutto in certi meravigliosi capitoli saturi di sano lirismo e di celeste musicalità, come: “Quando arriveremo al mio mare”, “L'ora nera”, “La voce del fiume”, ed altri. Sei un poeta. Ma non basta solo essere poeta per poter cantare la bellezza del grande mondo proprio nell'ora della morte; per fare ciò, nella vena poetica, deve scorrere idea chiara, pensiero lucido, sincera fede. E leggendo questi brani nel tuo libro pieni di serenità non posso dimenticare i versi dei poeta: «... e noi portiamo il nostro sorriso infantile anche davanti a un plotone di esecuzione». I campi di sterminio di Dawson saranno abbattuti e smantellati un giorno, questo è certo. Ma è altrettanto sicuro che lo “Spirito di Dawson”, come voi detenuti democratici cileni l'avete battezzato, rimarrà irremovibile esperienza collettiva di un popolo intero e nello stesso tempo insegnamento prezioso per tutta l'umanità. Sì! con la vostra fermezza, la serenità, la solidarietà tra voi, la convinzione, la speranza «avete costituito una fratellanza, unita a tutti gli uomini del mondo». Nessuno potrà cancellare lo “Spirito di Dawson”. E quando l'ampia unità del popolo cileno, aiutato dai popoli di tutto il mondo, sconfiggerà il fascismo, lo “Spirito di Dawson” brillerà, stella maestosa, nel firmamento delle mondiali lotte per la libertà, la democrazia, il progresso sociale, la dignità umana. Parlando di solidarietà internazionale sarebbe ingiusto non menzionare un fatto che tante volte è stato argomento comune delle nostre discussioni: l'aiuto senza risparmio che il popolo italiano ha dato fin dal primo momento alla causa cilena. Io, esule politico, perseguitato dalla dittatura dei colonnelli, ho avuto, prima di te, l'occasione di constatare la sensibilità di questa meravigliosa gente nei confronti del mio paese e degli altri popoli che lottavano o lottano tuttora per la libertà. Ed è con questi sentimenti che ricordo le splendide manifestazioni e mobilitazioni popolari dei democratici italiani per esprimere la loro solidarietà, per dare il loro contributo ai patrioti del Vietnam, della Spagna, della Grecia, dell'Iran, del Portogallo, dell'Angola, ecc. Caro Sergio, di giorno in giorno si rafforza l'unità di tutte le forze democratiche cilene, laiche e cattoliche; la giunta militare è stata isolata da tutti i popoli e neppure i suoi sostenitori ed amici osano adesso dichiararsi tali; il suo rovesciamento è più che palese. Fra poco la lotta del popolo cileno arriverà alla conclusione vittoriosa e lo slogan «Venceremos» diventerà «avemos vencido»; le parole del compagno Luis Corvalàn: «i lavoratori occuperanno finalmente il posto che spetta loro» si realizzeranno. Questo non è un mio augurio, ma la certezza, che mi suggerisce la semplice e obiettiva visione della realtà. Allora, nel tuo paese libero, potremo anche recitate, tutti insieme, i versi del “Canto particolare del Cile”: «Ferite del quartiere e della campagna.../ Lasciatemi chiudere un poco gli occhi/ stanchi dell'insonnia. Voglio sognare/ vicino al compagno Allende assassinato,/ voglio dormire la grande storia dei Cile./ Voglio vedere di nuovo le strade piene/ di bandiere rosse, di striscioni, di slogans,/ Presidente Salvador Allende, Unidad/ Popular. No! Essi non sono stati sconfitti,/ gli assassini non li hanno vinti./ […]// Adesso tutto profuma Cile, tutto parla/ di patria, tutti tengono fermamente/ nelle mani lotta, battaglia, Rivoluzione». [“Dawson” è stato pubblicato anche a Lecce, dalle edizioni del Raggio Verde nel 2007] |