Sallentina
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Martedì 15 Marzo 2016 08:40 |
[in “Marsia”. A. IV, n. 1/Speciale, 2014, pp. 46-53.]
Nonostante la sua posizione periferica, il Salento ha dimostrato sempre, come abbiamo avuto occasione più volte di osservare, una notevole vitalità in campo culturale. Non a caso ha saputo recepire quasi tutte le correnti più innovative degli ultimi due secoli, aprendosi abbastanza presto alla modernità letteraria[1]. Non desta perciò eccessiva meraviglia che i rapporti letterari tra il Salento e la Francia siano stati piuttosto intensi, come emerge anche da questa prima ricognizione in cui si forniranno alcune indicazioni di massima. In particolare, alcuni poeti e critici salentini, tra l’Otto e il Novecento, hanno subito il fascino della grande poesia francese, romantica, simbolista e postsimbolista, che hanno studiato e a volte tradotto, con esiti di indubbio rilievo, in alcuni casi, anche nel panorama nazionale.
Questo fenomeno è evidente già negli ultimi decenni dell’Ottocento con un gruppo di letterati che si occupano dei maggiori scrittori francesi di quel secolo. La presenza della letteratura francese, ad esempio, è notevole sulle pagine del “Gazzettino letterario” di Lecce (1878-1880), che svolse un’apprezzabile funzione di divulgazione di alcune delle maggiori esperienze culturali, italiane e straniere[2]. Questa rivista, diretta da Luigi Tinelli, ebbe il merito anche di chiamare a raccolta alcuni degli esponenti più significativi della letteratura salentina di allora, come Francesco Rubichi, Francesco Muscogiuri e Aleardo Trifone Nutricati Briganti, i quali sul “Gazzettino letterario” pubblicano articoli sui più noti autori romantici e contemporanei d’Oltralpe. Francesco Rubichi (Napoli, 1851 – Lecce, 1918), ad esempio, si occupa di Victor Hugo, Émile Zola e Jules Verne, mentre Francesco Muscogiuri (Mesagne, Brindisi, 1851 – ivi, 1919) dedica due scritti a Gérard de Nerval e Charles Baudelaire. Aleardo Trifone Nutricati Briganti (Copertino di Lecce, 1847 - Lecce, 1921), infine, traduce Baudelaire e Leconte de Lisle[3].
Muscogiuri, in particolare, che era stato allievo di Francesco De Sanctis a Napoli, nel 1878 pubblica un libro intitolato Il cenacolo (Profili e simpatie), che è anche un segno dell’interesse che suscitava in Italia la letteratura francese[4]. Ma mentre altri critici e intellettuali, quali Felice Cameroni, Vittorio Pica, Remigio Zena, Gerolamo Ragusa Moleti, Pipitone Federico, rivolgevano l’attenzione, in prevalenza, alle vicende più recenti di quella letteratura, e in particolare alla narrativa naturalista e a Zola da un lato, e alla poesia simbolista e decadente dall’altro, Muscogiuri si orienta decisamente verso scrittori e poeti romantici e solo marginalmente prende in considerazione Baudelaire, non riuscendo a recepire la novità della sua poesia. Il Cenacolo, comunque, occupa un posto particolare nella storia della fortuna critica della letteratura francese nell’Ottocento, poiché si tratta di uno dei primi tentativi di sistemazione di un periodo così ampio e complesso quale è appunto la prima metà del secolo diciannovesimo in Francia.
Di questo periodo, il critico mesagnese, passa in rassegna nel suo libro i principali esponenti (Alphonse de Lamartine, Victor Hugo, Alfred de Vigny, Alfred de Musset, Théophile Gautier, Gérard de Nerval, Charles Baudelaire e Henri Murger) e i generi (il dramma, il romanzo, la critica). In particolare, però, egli prende in esame il periodo centrale del Romanticismo francese, del quale il gruppo animatore fu, per l’appunto, il Cenacolo, e il maestro e l’ispiratore Victor Hugo.
Nello schema storiografico del Muscogiuri questo periodo succede alla prima fase del Romanticismo francese caratterizzata dalla tendenza all’ascetismo, al sentimentalismo e al patetismo, e precede la grave crisi che si verificherà dopo il 1830 e che preannunzia la nascita del realismo con Nerval, Gautier, George Sand e Alexandre Dumas. Questo, a sua volta, declina attorno al 1860, allorché si va affermando, secondo il critico, una nuova scuola, che definisce “scuola satanica”, della quale uno dei principali rappresentanti è Baudelaire.
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Sallentina
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Lunedì 01 Febbraio 2016 07:47 |
Certe volte, di notte, oggigiorno, d'inverno, più verso la mattina ormai, un piccolo rumore, un sospiro in più, il battere di ali di una civetta cornuta, il tonfo di una goccia di rubinetto che per formarsi ha impiegato tutta la notte, il cincischìo di due lumache che non riescono a raggiungere la foglia alta della begonia “pinta”, il richiamo dell'uomo dei curli che come te ora non dorme, mettici poi il bagnato del breve sogno di una betissa sinuosa che tuttagambe poco prima ti ha camminato davanti come cavalla murgese dall'ampio bacino, aggiungici ancora un po' di disperazione urbana che ti sei portato appresso nel letto ieri dopo aver fatto i tuoi bravi compitini del giorno innanzi, ed ecco che sei bell e pronto sulla sponda del letto, alla ricerca del calzino, che come sempre, ogni notte, si va a ficcare tra la pila di libri non letti e la colonnetta e che ora per tirarlo fuori ti tocca spostare, togliere, far rumore, trattenere il sospiro, trattenere l'acqua che ti sta dentro e trattenere anche la voglia di soffiarti il naso e di stiracchiarti un po'. Il nostro primo caffè, al mattino prima delle quattro, è di solito amaro, perché spesso non è dolce la vita. Allora per omogeneità, si comincia così. Poi il solito colpetto di tosse, la bardatura del corpo come si conviene in questi casi d'inverno, il controllo dei documenti in tasca, il controllo delle tumefazioni al viso, il conteggio delle rughe agli angoli degli occhi, un altro vigile controllo alla “pendaia” sotto il mento, e poi via verso l'ignoto, il misterico, verso l'amore che ha atteso lì aggrappata alla roccia per tutta la notte.
Che strano! Mi accorgo solo ora che per me ed Antonio, questo ignoto, questo misterico, questo vento aggrappato alla roccia è sempre stato andare verso sud, sempre a sud del sud, sud Salento. In 18 anni della nostra disperazione urbana non una volta ci è capitato di andare al nord, di oltrepassare le nostre colonne di Ercole, i nostri confini segnati dalle sgangherate porte e muraglie del nostro Castello di Munot, o a chi piace altrimenti, il luogo Belloluogo di Maria d'Enghien, appena poco fuori le mura di Lecce. Quindi sud, giù, verso il basso, il basso del basso, basso Salento. La strada è ormai sufficientemente conosciuta, cioè quella di sempre; però, inspiegabilmente, tutte le mattine, ci appare diversa da quella del giorno o settimana o mese precedente. Eppure i muretti a secco, le cui pietre cominciamo francescanamente a contare, sono quelli; poi controlliamo i colori delle pietre, anche essi sono quelli; poi controlliamo se vi è stato spostamento di pietra piccola sovrastante la pietra grande, niente, tutto è a posto; come al posto vediamo stare le pietre delle “pajare-nido”, dentro cui abbiamo nascosto certe cose che ora non possiamo dire; poi cominciamo a contare i nostri fratelli dalle foglie rivoltate d'argento - Verri è espertissimo in questo tipo di conteggio, ne Il pane sotto la neve ne ha dato brillante prova -, anche essi nel numero giusto, al posto giusto, che ci parlano di come è andata la notte. Capiamo che qualche problema c'è stato anche per essi. Antonio fa qualche tentativo per capire cosa, ma il vento porta via le parole. Procediamo verso l'ignoto, il misterico, verso l'amore aggrappata alla roccia dei nostri mari del sud.
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Sallentina
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Venerdì 10 Luglio 2015 06:55 |
["Il Titano", supplemento economico de "Il Galatino" anno XLVIII n, 12 del 26 giugno 2015]
Viaggio nella letteratura popolare salentina tra sensi, nonsensi e doppi-sensi
Queste non sono bagatelle, amici Lettori! Hanno certamente il sapore dello scherzo, della burla, del gioco; possono anche apparire facezie o stregonerie impertinenti e talora scostumate; tengono in sé, di frequente, la malizia di stampo il più popolaresco e aggressivo, libero e senza freni; non si curano, almeno in apparenza, di auliche elevatezze e di voli pindarici, e spesso sono anzi, e di buon grado, proprio terra-terra.
Attestazioni per lo più povere e scarne. Giocose sempre, nella loro apparente irriverenza. E volutamente semplici o semplicistiche, proprio per essere agevolmente riprese dal popolino più umile e incolto, particolarmente dai molti che, in un tempo non tanto lontano, erano davvero di poche parole, totalmente digiuni di un linguaggio appena ordinario, e men che meno di fraseologie eleganti e forbite.
Simili ‘invenzioni’ (che avevano anche una sottaciuta funzione di rivalsa o riscatto, radunando in sé varie congerie di aspirazioni e desideri inappagati) si manifestavano quindi, soprattutto nella tradizione contadina, con modalità espressive assolutamente spontanee, riuscendo tuttavia, nel loro dispiegarsi secco e lapidario, a toccare frequentemente vertici letterari insospettabili, oltre che trovate di elevato ingegno: un aspetto creativo radicalmente puro, che dà infine, soprattutto agli astuti indovinelli, una qualifica di preziosità assoluta.
È per l’appunto un piccolo viaggio curioso, questo, al quale vi invitiamo con gioia: uno sconfinamento nell’arte del pensiero anche libero e libertino, della creatività immaginifica, della fantasia e giocheria di parole e d'idee... Che erano abituali nelle corti e nei borghi di mille anni fa, ma anche di duemila e tremila, e perfino ai tempi degli Egizi o degli Assiri-Babilonesi, per giungere poi di ritorno fino alla nostra stessa civiltà contadina, alle nostre case e famiglie di ieri o dell’altro ieri, quando la sera ci si riuniva per ascoltare “cunti”, storie, e facezie di paese.
Parole, in definitiva, che erano anche sentimenti, meraviglie e magie: specchio fatato della piccola quanto sconfinata mente dell’uomo.
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Sallentina
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Domenica 05 Luglio 2015 08:52 |
Mimmo Anteri e la fisarmonica
Eccomi ancora una volta a Lecce, con Mimmo Anteri, sulle vie del barocco, dove un tempo fiorivano i limoni e le cattedrali, “case del sole e di Dio”. Un barocco arioso, elegante, vero godimento per gli occhi, - dice il maestro Anteri – una sorta di gigantesca fisarmonica di luce, che si apre al visitatore con meravigliosa spontaneità. Ma tutta la gente salentina è formidabile, ti accoglie a braccia aperte, è pronta a mostrarti tutto quello che ha. E’ partecipativa, generosa. Se è vero che ciascuno di noi emana una propria musica, sulle facce della gente leccese tu puoi ascoltare la sinfonia del barocco, che si spande per tutta la città, da porta Rudiae alla magnifica Piazza Sant’Oronzo, dal Palazzo dei Celestini, a Santa Croce, con la facciata che è una teoria di figure ricche di valori simbolici, un vero e proprio trattato applicato alla pietra; e qui le note si fanno corteo di decorazioni architettoniche che esplodono come dalle canne di un grande immenso organo di maggio dalle chiese, case e balconi , dagli stemmi e portali, un effluvio di fiori, frutta , nastri svolazzanti , colonne tortili, cornici fastose, balaustre a trafori, frontoni ricurvi , putti e mascheroni con la pietra leccese, calda e dorata.
Ercole Pignatelli e Boccherini
Lecce è tutta una sinfonia barocca, ma il barocco leccese è molto diverso da quello francese, o da quello spagnolo arabizzante. E’ il prodotto di artigiani e artisti pieni di fantasia , architetti esuberanti,come lo Zimbalo, che avevano però il senso vivo della geometria e il gusto classico rinascimentale, conoscevano Piero della Francesca e la Divina Proporzione. S’avverte una pulizia mentale che ingentilisce lo stile. In queste opere c’è una vera e propria raffinatezza spirituale che diventa anche finezza di comportamenti umani.
Io credo che Lecce sia unica nel suo genere, certo è anche greca, bizantina, è anche normanna, araba, moresca, spagnola, borbonica, ma è barocca la sua anima più autentica, che si riflette nei suoi palazzi e chiese , un’elegia d’angeli, santi e frutti di pietra, una sinfonia di fregi , pinnacoli, cariatidi che fanno coro su un portale o un balcone , e ti lasciano costantemente meravigliato. E senti, dentro di te, l’odore del miele, squarci d’infanzia lontana che ti richiamano le splendide rosacee melegrane di Ercole Pignatelli, (ho un suo piatto in ceramica, che si fa memoria viva del mio incontro con il maestro), o la musica di Boccherini, Tartini, Corelli, Scarlatti, che scandisce il suo ritmo arioso, largo per le vie di Lecce.
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